mercoledì 4 novembre 2009

Il sacro, il tango e il crocifisso

Ci risiamo. Ogni volta che viene sollevata la questione della presenza dei crocifissi nei luoghi pubblici - in particolare nelle scuole - i giornalisti si scatenano. A tutti si chiede un parere: politici, intellettuali, uomini di chiesa, gente comune. Quasi sempre la risposta a proposito del "crocifisso sì, crocifisso no" viene dalla rivendicazione di un'appartenenza. "Io ci tengo alle nostre radici cristiane!", afferma uno. "Io voglio un'Italia laica", rivendica un altro. E così via.

Difficile che ci si interroghi davvero sul simbolo in questione, sia da una parte che dall'altra. E se si accenna a una riflessione - lo fanno soprattutto quelli del "sì" - gli esiti sono un po' incerti: "è il simbolo dell'amore, dell'amicizia, della disponibilità agli altri" (tutte sentite davvero).

E io mi domando: ma davvero è così ovvio che un giovane uomo quasi nudo appeso a una croce e morto sia il simbolo dell'amore, dell'amicizia o della disponibilità agli altri?
Tentando di guardarlo con occhio disincantato, e non necessariamente dissacratore (del resto questo non lo fa quasi nessuno), direi che bisognerebbe piuttosto dire che il crocifisso è il simbolo della fine che si fa a cercare di essere troppo generosi nell'amore, troppo fedeli nell'amicizia, troppo disponibili.
Insomma: la manifestazione visibile di quanto è duro il mondo e crudele il cuore degli uomini.

Il Cristo, infatti, lì è proprio un "povero Cristo", e chi sulla croce ce lo ha messo ha vinto, come sempre vincono, nella storia e in ogni epoca, i cattivi. E' questo che si vuole insegnare ai ragazzi? Si tratterebbe di una lezione molto realistica e concreta, lo riconosco. Ma per non essere rinunciataria e scoraggiante dovremmo allora caricarla del sapore di una denuncia. Tipo: "Esponendo il crocifisso ci dichiariamo dalla parte di chi subisce il torto, l'ingiustizia, la sopraffazione!".
Allora è questo che vogliamo dire? E se sì, che c'entra il politico leghista che prima vota in Parlamento leggi che rendano il più possibile dura la vita degli immigrati, anche quelli onesti, e poi si proclama appartenente alla cultura cattolica occidentale?

Ma veniamo ai cristiani. E' evidente per loro che il crocifisso vuol dire qualcosa non solo come celebrazione dell'eroismo di una morte innocente. Se ha senso una fede nel Dio di Gesù Cristo questo sta nella speranza che il Padre vince, libera dalla morte il Figlio, il giusto. E così - meraviglia! - riapre una speranza di redenzione non solo per le vittime, ma anche per i carnefici.
E' questo che il crocifisso riesce a dire semplicemente appendendolo al muro?

Non mi dilungo. Nel campo del sacro io sono per il tango, cioè per il movimento, e non per ciò che è statico (vedi, in questo blog, il mio intervento intitolato "il sacro e il tango/1). In questo caso: io sono cristiano, ma proprio come tale sento la necessità che tra morte e risurrezione si riequilibrino le parti - come Nuovo Testamento vorrebbe: due movimenti di una stessa vittoria. Movimenti, appunto. Non una cosa così ferma - in quanto antica e intangibile tradizione -  che a malapena si trova qualcuno disposta a spiegarla davvero e poi a viverla.

Ed ecco la proposta: decidiamo eccome se toglierli o tenerli, i crocifissi nelle scuole. E decidiamo, direi, laicamente. Ma comunque, consapevoli tutti - laici, laicisti, credenti, tutti - dell'importanza storica del simbolo in questione, procediamo dopo aver fatto insieme una bella riflessione: sappiamo cosa vuol dire quel segno (o cosa "voleva dire", se, come sembra, lo abbiamo dimenticato)? Quale simbolo unificante metteremmo al suo posto, visto che un'identità comune, anche minima, sarebbe meglio averla? E se credenti: davvero ci è rimasto solo il crocifisso, da difendere, e vogliamo lasciare che a dire la nostra smisurata speranza resti sola la croce? 

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