lunedì 14 febbraio 2011

Martin, che conosce almeno quattro lingue


In queste ultime settimane, siccome il mio comune, Saronno, non ha più un soldo, i genitori della scuola elementare di mia figlia si sono organizzati in piccole squadre di volontari per tinteggiare le aule.
La mia partecipazione all'impresa ha suscitato una certa ilarità tra parenti, amici e conoscenti, essendo a tutti nota la mia totale incapacità nei lavori di casa.

Si è trattato di un'esperienza interessante, e non solo perché adesso so verniciare bene almeno i caloriferi. Con me c'erano altri quattro papà. Il nostro capo era un siciliano, l'unico che si intendesse veramente di imbiancatura. Quando mi vedeva stanco e fermo a riposare mi sgridava dicendo: "Ehi! Guarda che qui il terrone sono io!".
Poi c'erano due altri tipi, simpatici e piuttosto pratici, e io ammiro sempre le persone che sanno fare cose che io non so fare.
Infine con noi c'era Martin, un papà immigrato in Italia dall'Angola, operaio metalmeccanico.

A un certo punto squilla il cellulare di Martin. Lui risponde e chiacchiera per un po' in italiano. Circa un'ora dopo il suo cellulare squilla di nuovo e lui chiarisce una questione con chissà chi parlando fluentemente in portoghese. Dopo un certo tempo risponde di nuovo e questa volta discute a lungo in inglese. Verso sera, finalmente, a lavoro quasi ultimato, si rilassa concordando con la moglie il programma della domenica successiva in lingua Lingala.
Quando abbiamo proprio finito, viene a prenderlo un amico. Anche lui è un africano, ma originario di un altro Paese: si intendono (ridono, scherzano) in francese.
A questo punto fingo di arrabbiarmi: "Ma quante lingue sai?!". Lui allarga le lunghissime braccia, sorride e dice: "finito", come se dicesse che non sono poi così tante.
Il suo amico, che parla benissimo anche l'italiano, mi mostra orgoglioso il passaporto. Dentro ci sono le foto dei suoi sette figli. Solo l'ultimo, mi dice, è nato a Como.

In questi giorni Tunisia, Egitto, Algeria, Iran si accendono di proteste di piazza contro dittatori al potere da trent'anni o giù di lì. I protagonisti delle manifestazioni sono migliaia e migliaia di giovani, perché si tratta, infatti, di Paesi dove la percentuale dei ventenni è più che doppia rispetto a quanto avviene in Italia.
Anche Martin mi sembra giovane. E non solo perché ha dieci anni meno di me.
Penso che dobbiamo imparare da questa gente, perché è una vera fortuna che siano in mezzo a noi. E penso che dovremmo farlo tutti, ma specialmente i nostri giovani.

E non ditemi che ho scoperto una cosa ovvia: i nostri giovani sono pochi, spaventati e spesso (non sempre, anzi, sempre meno, direi) pigri.
La prossima volta che scrivo voglio parlarvi di mie recenti esperienze a proposito di giovani italiani che, sapendo che mi occupo di editoria e di scrittura, mi mandano i loro curriculum nella speranza che io li passi a qualche Casa Editrice. Servirà, credo, a riflettere ancora su cosa vuol dire affrontare il mondo da giovani.