giovedì 24 ottobre 2013

Una storia vera, che dovevamo raccontare


Siamo lieti di annunciare agli amici e a chi ci conosce solo per quel che abbiamo scritto che è appena uscito un nostro nuovo romanzo.
Ecco la copertina.





Si tratta di una storia vera e fin dall'inizio ha colto di sorpresa anche noi. Un anno fa, quasi per caso, Maurizio ha letto un titolo su una pagina on-line di un grande quotidiano: "Morto il fotografo di Auschwitz". Seguivano poche righe di commento, ma sono bastate a farci capire che l'uomo di cui si segnalava così brevemente la scomparsa è stato un testimone eccezionale della triste  tragedia dei campi di concentramento voluti da Hitler e dai suoi.
Wilhelm Brasse, questo il nome del personaggio, visse 5 anni internato e si salvò perché sapeva fare buone fotografie. Dovette fotografare migliaia di prigionieri e parte degli esperimenti condotti da medici criminali su prigionieri inermi. Conobbe tutti gli aspetti della vita quotidiana del campo. Ma verso il termine della guerra, quando le truppe russe si avvicinavano e i tedeschi erano pronti alla fuga, rischiò la vita per salvare le foto, che grazie a lui ci sono giunte in buona parte intatte e costituiscono un documento indispensabile per contrastare ogni negazionismo e ogni giustificazione della barbarie nazista.
Ma il libro racconta molto di più: racconta la storia della coscienza di un uomo che passa dalla preoccupazione per la sopravvivenza alla decisione di agire per il bene dell'umanità. Molti gli incontri, su questo percorso, tristi alcuni, altri consolanti (come quello con padre Kolbe).
Insomma: non so se si capisce, ma siamo piuttosto fieri di aver scritto questo libro e ci fa piacere consigliarlo.




mercoledì 6 giugno 2012

Un nuovo romanzo:
un'esperienza di scrittura unica


Presentiamo al pubblico la nostra ultima creazione:


Questa volta il nome dell'autore non è uno pseudonimo, ma il nome del protagonista. Alessandro Cevenini è il giovane di cui abbiamo ricostruito e poi raccontato la storia in prima persona, come se fosse lui stesso a raccontarsi.
Si è trattato di un'esperienza di scrittura unica per un soggetto davvero singolare. Alessandro, infatti, è morto di leucemia nel 2009 e ha lasciato a genitori e amici una serie di testimonianze tutte destinate a incoraggiarli nella lotta comune contro la malattia e la paura della morte.
Ricostruire, a partire da questi testi, la memoria viva di questo giovane straordinario è stata la parte più interessante del nostro lavoro. Alessandro oggi è vivo, e per più motivi: per la sua fede nella vita donata da Dio, per il ricordo di un giovane coraggioso e positivo, per l'associazione da lui creata a partire da un sito internet (www.beat-leukemia.org) che mette in comunicazione pazienti, parenti, medici e sostenitori in tutto il mondo.
Perché la vita spesso trova nuovi significati proprio nella sua lotta contro la malattia e la disperazione.

Una testimonianza vera e non lacrimosa, persino incoraggiante e divertente, che si legge come un romanzo di vita.

lunedì 23 aprile 2012

Carissimi,
vorrei provare a ricominciare con il blog. Da ora scriverò solo io, essendosi Maurizio stancato di partecipare.
Siccome, tuttavia, siamo sempre soci nella scrittura di libri e romanzi. Per ora manterrò la struttura del blog così com'è.
Tutto chiaro?

Luca

giovedì 12 maggio 2011

Un nuovo libro della nostra piccola società di scrittori



Stimolati da un editore con il quale non avevamo mai pubblicato (la San Paolo), siamo andati a scovare una storia curiosa a proposito dei Centocinquant'anni dalla nascita dell'Italia unita.
Conquistata, con la famosa breccia di Porta Pia, la città di Roma per farne la propria capitale, lo Stato italiano deve trasferirvi i suoi ministeri. Uno di questi - i Lavori Pubblici - dovrebbe finire nel palazzo espropriato di una contessa romana di antichissima nobiltà.
La giovane donna si oppone al sopruso e non ci sono argomenti patriottici (per quale Italia, non ancora sentita come casa comune?) o morali che tengano. E poi la contessa tiene ancora al "Papa re", da poco costretto alla prigionia in Vaticano...
Il breve romanzo conduce il lettore a conoscere, con ironia e sentimento, il clima di quei giorni e le grandi questioni che ancora ci inquietano: siamo italiani? E che vuol dire veramente?

Una lettura che suscita il sorriso e il pensiero. Una storia vera che insegna e diverte. A noi è piaciuto molto raccontarla.

giovedì 14 aprile 2011

Ragionando da cristiani


Il cristiano si concentra sulle parole di chiunque e cerca lui in quelle parole. Lo stesso vale per i suoi comportamenti, per le sue scelte, che sono altrettanti linguaggi per esprimere se stessi.
Il cristiano si domanda, a proposito dell'altro: Perché dice così? Perché grida? Perché sussurra?

Per intenderci con un esempio di attualità: vedendo l'immigrato appena sbarcato, il cristiano si domanda subito e come prima cosa: Perché è partito? E tutto il suo operare nei confronti di questo fratello dipende dalla risposta più completa possibile a questa domanda.

lunedì 14 febbraio 2011

Martin, che conosce almeno quattro lingue


In queste ultime settimane, siccome il mio comune, Saronno, non ha più un soldo, i genitori della scuola elementare di mia figlia si sono organizzati in piccole squadre di volontari per tinteggiare le aule.
La mia partecipazione all'impresa ha suscitato una certa ilarità tra parenti, amici e conoscenti, essendo a tutti nota la mia totale incapacità nei lavori di casa.

Si è trattato di un'esperienza interessante, e non solo perché adesso so verniciare bene almeno i caloriferi. Con me c'erano altri quattro papà. Il nostro capo era un siciliano, l'unico che si intendesse veramente di imbiancatura. Quando mi vedeva stanco e fermo a riposare mi sgridava dicendo: "Ehi! Guarda che qui il terrone sono io!".
Poi c'erano due altri tipi, simpatici e piuttosto pratici, e io ammiro sempre le persone che sanno fare cose che io non so fare.
Infine con noi c'era Martin, un papà immigrato in Italia dall'Angola, operaio metalmeccanico.

A un certo punto squilla il cellulare di Martin. Lui risponde e chiacchiera per un po' in italiano. Circa un'ora dopo il suo cellulare squilla di nuovo e lui chiarisce una questione con chissà chi parlando fluentemente in portoghese. Dopo un certo tempo risponde di nuovo e questa volta discute a lungo in inglese. Verso sera, finalmente, a lavoro quasi ultimato, si rilassa concordando con la moglie il programma della domenica successiva in lingua Lingala.
Quando abbiamo proprio finito, viene a prenderlo un amico. Anche lui è un africano, ma originario di un altro Paese: si intendono (ridono, scherzano) in francese.
A questo punto fingo di arrabbiarmi: "Ma quante lingue sai?!". Lui allarga le lunghissime braccia, sorride e dice: "finito", come se dicesse che non sono poi così tante.
Il suo amico, che parla benissimo anche l'italiano, mi mostra orgoglioso il passaporto. Dentro ci sono le foto dei suoi sette figli. Solo l'ultimo, mi dice, è nato a Como.

In questi giorni Tunisia, Egitto, Algeria, Iran si accendono di proteste di piazza contro dittatori al potere da trent'anni o giù di lì. I protagonisti delle manifestazioni sono migliaia e migliaia di giovani, perché si tratta, infatti, di Paesi dove la percentuale dei ventenni è più che doppia rispetto a quanto avviene in Italia.
Anche Martin mi sembra giovane. E non solo perché ha dieci anni meno di me.
Penso che dobbiamo imparare da questa gente, perché è una vera fortuna che siano in mezzo a noi. E penso che dovremmo farlo tutti, ma specialmente i nostri giovani.

E non ditemi che ho scoperto una cosa ovvia: i nostri giovani sono pochi, spaventati e spesso (non sempre, anzi, sempre meno, direi) pigri.
La prossima volta che scrivo voglio parlarvi di mie recenti esperienze a proposito di giovani italiani che, sapendo che mi occupo di editoria e di scrittura, mi mandano i loro curriculum nella speranza che io li passi a qualche Casa Editrice. Servirà, credo, a riflettere ancora su cosa vuol dire affrontare il mondo da giovani.

lunedì 31 gennaio 2011

Piccolo decalogo sulla non violenza


Di recente e per svariati motivi mi sono interessato al tema della non violenza. L’occasione mi ha dato lo spunto per chiedermi cosa faccio io per diffondere il metodo non violento nei rapporti sociali, a partire naturalmente dalla mia stessa vita. Ecco dunque nascere questo piccolo decalogo molto personale, fatto di propositi più che di comandamenti e sui quali è quasi superfluo sottolineare un fatto: nonostante la mia buona volontà, è difficile che io riesca a metterli in pratica tutti e integralmente. Al limite, qualcuno e non per sempre. Eppure, tenerli a mente mi aiuta a sperare che sia possibile anche per me, un giorno, accorciare la grande distanza che separa la teoria dalla realtà della vita. Ecco il decalogo.


1. Tengo ben presente che la non violenza è prima di tutto utile: vedo infatti che praticandola ne guadagno in benessere materiale e spirituale.


2. Lascio sempre che l’altro parli per primo e ci penso su due, tre, cento volte prima di rimbeccarlo. Questa, a dire il vero, è buona educazione e precede la non violenza.


3. Non penso e non dico che la mia opinione è la verità. E non lo credo perché ho abbastanza autoironia da sapere che il mondo è andato avanti bene senza di me per millenni ed egualmente potrà fare in futuro.


4. Rispetto sempre ciò che dice la mia gente, anche quando dice cose che a me sembrano vecchie, stupide o inutili. Forse lo sono, forse no. Spesso non lo sono.


5. Credo a quello che mi dicono o mi mostrano solo dopo averlo verificato, per quanto possibile, di persona. Perché la forza suadente delle parole e delle immagini esige da me una critica obiettiva, ferma e puntuale.


6. Dico sempre quello che penso. Non affermo che la sincerità è immune da effetti negativi, ma che essa produce meno danni e meno violenza del silenzio, della reticenza, dell’ipocrisia.


7. Non mi comprometto per guadagnare più di quel che mi serve per vivere. Ho sperimentato che desiderare troppi soldi, potere, visibilità significa imboccare la via più veloce per trasformarsi in individui violenti.


8. Non dimentico i miei errori e cerco di non ripeterli. Spero che chi mi conosce e sa dei miei errori sia disposto a darmi comunque credito, perché se nessuno mi offre una seconda chance e io non la offro agli altri sono finito.


9. Difendo la vita, perché ogni vita è essenziale all’equilibrio del mondo, e non dimentico mai la parte non umana che è in me. Gentilezza e dolcezza sono dovuti a uomini, donne e bambini. Altrettanto meritano piante e animali, la terra e ogni altro elemento della natura.


10. E davanti a un gesto violento? Questa è davvero la cosa più difficile. Io provo a resistere, a non replicare con altrettanta violenza, ad aggirare l’ostacolo. Ma è complicato, quasi impossibile. Tanto da spingermi a sperare che la vita mi riservi queste occasioni il meno frequentemente possibile. Qui confesso che ho solo da imparare.


(postato da maurizio)