domenica 28 febbraio 2010

la pietra filosofale dello scrittore

Primo aneddoto, raccontatomi da Luca. La sua vicina di casa, educatrice alle materne, si presenta alla porta con in mano una copia del Bambino stregone e, sulle labbra, un sorriso trionfante. Al mattino, a scuola, una collega le ha voluto consigliare un libro che - dice - l’ha commossa profondamente. Il libro è il nostro e lei non sapeva, naturalmente, che stava parlando con la vicina di casa dell’autore. Che proprio per questo si è presentata alla porta di Luca: voleva raccoglierne la dedica per la collega.

Secondo aneddoto, raccontato a me e Luca dal nostro editor in Piemme. La scena si svolge sul Frecciarossa Milano-Roma. Davanti all’editor è seduta una ragazza, che tiene in mano e legge assorta il Bambino stregone. Dopo un po’, si rivolge alla vicina e compagna di viaggio, dicendole: «Questo te lo devo passare. È troppo emozionante!». Il nostro editor si compiace e ci fa i complimenti.

Molti, soprattutto donne, ci hanno testimoniato una reazione simile. Hanno letto il Bambino stregone e si sono commossi. Non credo che per un romanziere possa esserci riscontro migliore. Raccontare una storia senza particolari artifici retorici e spingere chi legge alle lacrime significa aver trovato la chiave per entrare nel cuore delle persone. Significa saper tramutare la pagina in emozioni vive. È la pietra filosofale dello scrittore. È un tesoro di inestimabile valore. È il compimento del suo lavoro. È un punto d’arrivo. Da cui ripartire per sondare ancora meglio, se possibile, le profondità dell’animo umano.

venerdì 19 febbraio 2010

Non è detto che sia un peccato...

Fa notizia il lungo discorso di scuse pronunciato dal celebre campione di golf Tiger Woods per riguadagnare la fiducia della moglie, dei figli, degli amici, dei collaboratori, dei tifosi e degli sponsor. L'uomo divenuto celebre per le sue vittorie e la sua ricchezza, modello per migliaia di giovani sportivi, si è attirato negli scorsi mesi la disapprovazione di molti per i suoi eccessi, tradimenti e debolezze. Oggi dichiara: "ho bisogno di aiuto", cioè di una terapia psicologica e di un salutare ritorno alla pratica del Buddismo, fede nella quale è stato educato fin da ragazzo.

Il senso di colpa, anche quando è utile da mostrare al pubblico per placarne il furente moralismo, è comunque una tortura difficile da sopportare. Pur di non tenerselo dentro a scavare le sue gallerie nel sottosuolo dell'orgoglio, è meglio chiedere perdono in pubblico, fare al più presto qualche rinuncia, impegnarsi in pratiche salutari.
Vorrei tuttavia sottolineare che la tradizione cristiana ricorda a questo proposito che spesso la corsa ai ripari basata sulla forza della volontà non serve ad affrontare davvero la colpa e le sue cause, ma semplicemente a riparare l'amor proprio ferito, bisognoso di accumulare al più presto meriti riparatori. Il Buddismo per questo va benissimo, ma poi anche questa antichissima filosofia orientale (più antica del cristianesimo) ricorda al fedele che ciò che conta è proprio la rinuncia all'orgoglio e allo stesso desiderio di essere e apparire.
E dunque auguri a Tiger Woods, auguri di andare fino in fondo sulla via tracciata dal suo Maestro.

Intanto, sempre nello spirito di un dialogo tra religioni a proposito di ciò che ci sta davvero a cuore, ricordo un dialogo che ebbi molti anni fa con un sacerdote, un bravo e stimato confessore. Mi disse, e non lo posso dimenticare: "Quando un penitente viene ad accusarsi di un peccato e chiede il perdono di Dio, io lo perdono. Quando torna ancora, per lo stesso motivo e per lo stesso peccato, io lo perdono. Ma quando torna la terza volta con la stessa colpa, gli dico di ricordarsi che dopo un po' di ripetizioni non si parla più di un peccato, ma di un problema".

E il problema, per il Buddismo e per il cristianesimo, non è la colpa, ma la qualità della vita.

sabato 13 febbraio 2010

Cinema, Lega e Fascismo

Traggo dal mercato la notizia che, a pochi mesi dal lancio in sala, esce in dvd Barbarossa. Nonostante il titolo, il film di Renzo Martinelli appunta la sua attenzione su Alberto da Giussano, il milanese che secondo la leggenda guidò i lombardi alla rivolta proprio contro Federico I di Svevia, alla metà del XII secolo. E culmina nella rappresentazione della battaglia di Legnano del maggio 1176, quando i Comuni sconfissero l’odiato Teutone e riaffermarono la propria libertà.

Il film è costato 30 milioni di euro e in sala ne ha incassato appena uno. Non si sa se le spese di produzione verranno riassorbite attraverso la vendita dei diritti per l’home video e la trasmissione televisiva in chiaro. Un esito tanto più eclatante se si pensa al lancio spinto che della pellicola fecero lo scorso anno Bossi e l’intero stato maggiore leghista. Del leader le cronache riportarono pure le lacrime d’emozione, tanto rimase colpito dalla potenza della rievocazione storica. Ma i verdi caporioni padani sono stati gli unici a lasciarsi ammaliare da un film che ha fatto parlare, appunto, più per i retroscena politici che per i meriti artistici. Bossi e i suoi ci volevano proprio credere. Il popolo delle valli non si è fatto irretire dalla retorica celtica. Il resto d’Italia ha guardato da un’altra parte. È la dimostrazione che la “gente” non si lascia irreggimentare tanto facilmente. Neanche la “nostra gente”.

Nel 1934, Mussolini diede al pubblico Camicia nera, di Giovacchino Forzano. Narrava, con toni epici e propagandistici, la storia degli anni corsi tra la Prima guerra mondiale e la presa del potere fascista, attribuendo al Duce il merito di aver rimesso in sesto l'Italia. L’Istituto Luce spese per la realizzazione del film l’iperbolica cifra di 3.813.000 lire, ma la resa al botteghino fu disastrosa. Quell’anno, paradossalmente, il film di maggiore successo nel nostro paese fu La febbre dell’oro di Charlie Chaplin, aborrita produzione americana per la quale vennero staccati quattro milioni e mezzo di biglietti. Il pubblico scelse, anche allora, anche in condizioni tanto difficili. Bossi e i suoi ripassino la storia. Almeno quella della settima arte.

sabato 6 febbraio 2010

Morgan sì, Morgan no. Ma chi è Morgan?

A me che sono un intellettuale la televisione più seguita - sia prima che seconda serata, non parliamo dei polpettoni meridiani e pomeridiani e mettiamoci ormai pure i telegiornali - sembra sempre più uno strumento per distrarre il popolo e mantenerlo nella sua ignoranza. Ecco perché la comparsa di Morgan e del suo carisma, che brillava tra la grossolanità, il pressapochismo e il cattivo italiano delle due colleghe giudici di X-factor mi sembrava una incoraggiante novità. In quel ruolo Morgan ci metteva e ci mette competenza e sottigliezza, ma anche capacità comunicativa. E non a discapito della qualità del linguaggio, usato sempre con correttezza qualunque fosse l'oggetto considerato: una canzone di successo, un movimento culturale, il carattere di un concorrente, una coreografia, un abito, un paio di scarpe, una battuta.
Insomma: un saggio tra asini raglianti, capace tuttavia di farsi capire da tutti e quindi di fare ottima divulgazione. Uno che finalmente si vede che ogni tanto legge un libro, eppure tutti ne traggono vantaggio.
Capisco che questo mio giudizio molto affrettato sembra frutto del mio intellettualismo, ma credo di insistere a ragione: un uomo di cultura che riesce a farsi capire e a incuriosire la gente alle sue conoscenze e competenze mi sembra un miracolo di cui abbiamo tutti bisogno, visto che abbiamo motivo di dubitare della solidità e onestà intellettuali di politici, industriali, banchieri, giornalisti e uomini e donne della comunicazione.
Morgan, per esempio, mi è sembrato uno che in un programma dedicato alla ricerca di nuovi talenti ha indicato ai giovani la via di un coraggioso impegno per imparare non solo a catturare al volo e per poche settimane l'attenzione del pubblico, ma a essere veri artisti, ad avere qualcosa da dire e in modo speciale. Tutte cose che non si improvvisano, che richiedono anni di studio, di prove, di sfide. E tanta, tantissima curiosità.

C'è poi una frase attribuita a Gesù dal Vangelo di Luca: "Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo" (Lc 6,43-44).
Accostare queste semplici e antiche parole al caso Morgan mi sembra stimolante, oggi che il cantante e uomo di spettacolo ha rivelato di fare uso frequente di droghe per, dice lui, sostenere la sua fatica di vivere e subito si è acceso uno scandalo molto forte.
Dunque mi sono sbagliato? Morgan non può dare frutti buoni, visto che vive facendo una cosa cattiva? Questione delicata, che, direbbe il Morgan maestro, va considerata con attenzione e prendendo in esame molti aspetti diversi.
Se ne sono sentite di tutti i colori. C'è persino chi dice che essendo Morgan un artista non è possibile aspettarsi che egli viva come le persone normali. E' il tradizionale accostamento tra genio e sregolatezza.
Poi ci sono le condanne senza appello ("un altro cattivo maestro per i giovani!") e così via.

E se Morgan fosse semplicemente un uomo in cerca di senso? Un uomo che fa fatica? Ha detto che si droga, ho capito bene. Ma dicendo così ha detto anche che per questo si considera un eroe? Mi sembra di no: ha detto che non sta bene.
A Gesù non interessavano grandi imprese. Magari neppure le grandi imprese culturali che a mio avviso Morgan può e potrà ancora realizzare a vantaggio di tutti. Gli interessava che l'uomo fosse libero, che avesse "la vita in pienezza".
Questa la questione, non solo per Morgan, ma anche per me, per te, per tutti noi: qual è la vita in pienezza? Ne sappiamo qualcosa? Parliamone: la provocazione di Morgan ci spinge a farlo. E ce lo fa pensare anche il gran darsi da fare per avere successo dei giovani partecipanti a X-factor, se ci pensiamo bene.

"L'uomo buono". Chi è? Sarà o non sarà un uomo felice? Forse Morgan non lo è ancora. E noi lo siamo?

lunedì 1 febbraio 2010

democratici dietro l'obbiettivo

Qualche giorno fa mi è arrivato un messaggio di posta elettronica dalla segreteria provinciale del Partito Democratico. Il messaggio giungeva da Varese, rivolto a me e a «tutti gli iscritti». Lo cito interamente, perché breve ed esemplare.

Carissimi,
i referenti della comunicazione on-line del PD Varese a breve renderanno attivo il nuovo sito del Partito Democratico provinciale. Uno spazio importante sarà riservato alle immagini relative al territorio (fotografie dei laghi, delle montagne, dei paesi, delle tradizioni, del mondo economico e produttivo, della scuola, della gente). A tale proposito, invitiamo chiunque lo desideri a dare il proprio contributo inviando delle foto da pubblicare. Le immagini vanno inoltrate all’indirizzo info@pdvarese.it (specificando in oggetto IMMAGINI PER SITO). Estendiamo la richiesta a tutti gli iscritti, ringraziando per la collaborazione.


In due anni di militanza, sono stato contattato dal PD assai raramente. A cura dei candidati alle primarie interne o in occasione di qualche manifestazione di piazza. In quest’ultima evenienza, con appelli asettici alla partecipazione, veicolati dalla fredda pagina web. Mai che il mio partito mi abbia domandato cosa pensavo, cosa desideravo, cosa potessi o volessi offrire, in termini di idee, al progetto comune. Ecco che ora la lacuna viene finalmente colmata. Il PD mi chiede fotografie, altrettante cartoline da incorniciare nel nuovo sito. Un contributo essenziale che però Varese non avrà. La mia tessera del Partito Democratico è scaduta il 31 dicembre. E non ho alcuna intenzione di rinnovarla.