domenica 2 maggio 2010

Chiesa e democrazia, cioè Chiesa e partecipazione

L'ultimo intervento di Maurizio mi sembra lucido e stimolante. Fa bene, a mio avviso, a richiamare l'idea di democrazia come partecipazione e come lui, proprio da credente, penso che di questa democrazia ne abbia bisogno anche la Chiesa. Infatti, uno dei guadagni più citati - e ancora solo in parte realizzati - del Vaticano II è la sottolineatura del ruolo attivo dei laici nella Chiesa, definito in quella solenne assemblea indispensabile per la ricerca di "santità" che è la sua missione.

Si fa parte della Chiesa per fede e la fede è possibile solo se libera. Si è davvero liberi se si accetta la fatica di essere veri, dialogando con gli altri a proposito delle proprie esperienze, rafforzandosi reciprocamente e, se necessario, correggendosi reciprocamente. E questo anche nel campo della fede, che è, oltre tutto, continua ricerca.
Dei credenti, che proprio in quanto credenti, prendano la parola - senza violenza, ma con fermezza - contro comportamenti e coperture che poco hanno a che fare con il vangelo sono una benedizione, per la Chiesa, non un problema.
In Galati 2,11 San Paolo scrive: "Quando Cefa [cioè Pietro, il capo degli apostoli, oggi il papa] venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto". Paolo non affrontò Pietro, in quella circostanza, per porre disordine nella Chiesa o per fondare un suo movimento o per qualsiasi altro capriccio. Lo fece, come potete leggere nel seguito di quella pagina, perché riteneva che il comportamento di Pietro danneggiasse il vangelo, cioè, per un credente, la verità, il bene per tutti.
Questo atteggiamento di Paolo oggi lo chiamiamo democrazia: partecipazione responsabile e rispettosa al dibattito pubblico con la propria parola e azione; una partecipazione motivata dalla ricerca del bene comune.
In questo senso, democrazia e servizio al vangelo mi sembrano non solo compatibili, ma coessenziali.

Il problema, a mio avviso, è che oggi, purtroppo, la grande maggioranza dei credenti è ignorante, cioè non sa in cosa crede e non saprebbe renderne ragione né in un dibattito pubblico (come raccomanda l'autore della Prima lettera di Pietro 3,15) né all'interno della Chiesa stessa. E di questa ignoranza io ritengo gravemente responsabili le gerarchie, che dovrebbero molto più dedicarsi all'approfondimento della fede con chi ne è interessato (un esempio positivo: Martini, mai abbastanza rimpianto, in questo senso) e negli ultimi anni, almeno in Italia, hanno saputo soltanto inventarsi un "Progetto culturale" che coinvolge pochi esperti e che è logicamente ininfluente.

Dove c'è ignoranza, non può esserci democrazia... ma neppure Chiesa, almeno se si vuole una Chiesa viva, ricca, come la vuole il Signore ("Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi").
Di conseguenza sono possibili errori, tipo quello di far intendere che esista una giustizia degli uomini (cioè dello Stato) e una giustizia di Dio (cioè della Chiesa). Errore: per la Bibbia e per i padri della Chiesa esiste una sola giustizia e i credenti, quindi, non sono esentati dalla fede dal compito di costruirla insieme a tutti gli uomini, pur essendo aperti alla misericordia, mistero infinito. Ed ecco trovato il nesso tra problema della pedofilia e riflessione sulla democrazia nella Chiesa (cioè della ricerca della verità in essa).

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