sabato 19 dicembre 2009

Quando nascondere vuol dire svelare

Mad Men, terza serie, prima puntata. Il capo degli account viene licenziato. Torna nel suo ufficio, chiude la porta e comincia a urlare. È inferocito. Inveisce e rovescia la scrivania. Non vediamo niente, ma ascoltiamo tutto dal corridoio, insieme ad altri due personaggi. Sono parole e gesti insoliti per una serie che fa della misura e del glam un criterio imprescindibile. L’autore ha inserito in sceneggiatura lo scatto d’ira del manager licenziato, ma ha deciso di non mostrarcelo. Proprio sapendo che la violenza esplicita non ha niente a che vedere con Mad Men. E in questo modo dà ancora più forza alla scena.

Paranoid Park, film del 2007 per la regia di Gus Van Sant. Il protagonista adolescente decide di lasciare la sua ragazza: lo annoia, non ci si trova bene. La affronta e le dice che è finita. Lei reagisce male: strepita e impreca, insultandolo. Noi vediamo tutto questo, ma non lo sentiamo. La macchina da presa rimane puntata sul volto della ragazza, mostrandone ogni espressione. Dalla gioia per l’incontro allo stupore per quel che le viene detto. Dall’incredulità alla rabbia. È il suo volto a parlare, perché la sua voce scompare. La musica è il sonoro della scena. Van Sant ha deciso che più di qualsiasi parola valgono un lampo negli occhi e una piega della labbra.

Due scelte di stile differenti ma univoche: l’autore gioca con gli elementi della rappresentazione, sottraendone uno allo spettatore. Nel primo caso lo sguardo, nel secondo l'udito.
Due scelte convergenti verso un solo obbiettivo: esaltare l’azione del personaggio e il contenuto della sceneggiatura.
Due scelte di scrittura precise e consapevoli: quando nascondere vuol dire svelare.

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