venerdì 31 dicembre 2010
Dio esiste? (18)
M: Da quel che dici sembra che tu abbia di Dio solo un'esperienza indiretta, compiuta per interposta persona, attraverso la visione, l'ascolto o la lettura dell'esperienza di Dio di altri. Vorrei invece sapere se hai di Dio un'esperienza diretta, basata su una tua visione, ascolto o pratica di Dio, perché questo è l'argomento del nostro capitolo. Un Dio che esiste per sentito dire non mi interessa. Quanto al racconto degli "eventi originari" e a tutto il resto, verrà il momento opportuno.
P.S.: Come amministratore del blog al pari tuo, d'ora in poi ti casserò tutti i post più lunghi delle dieci righe concordate assieme. Oppure, chiedi apertamente più spazio. Ciao e buon anno nuovo.
Dio esiste? (17)
Dio esiste? (16)
Dio esiste? (15)
giovedì 30 dicembre 2010
Dio esiste? (13)
Dio esiste? (13)
M: Ti prego di procedere secondo logica. La tua risposta del post 8 è già risolutiva. Idem per la spiegazione che ne hai fornito nel post 10. Dato tutto ciò, che importanza attribuisci ai "testimoni" chiamati in causa nel post 12? Visto l'ordine con cui hai esposto gli argomenti, devo dedurre che i libri contano per te più delle persone in carne e ossa e che ai "testimoni" concedi scarsissimo credito. Tanto che, nonostante la loro asserita esperienza di Dio, non ti sono sufficienti per affermarne l'esistenza. Spiegati.
mercoledì 29 dicembre 2010
Dio esiste? (12)
Dio esiste? (11)
M: Di molte cose non abbiamo esperienza diretta, senza per questo dubitare della loro esistenza. Io non ho mai visto l'atomo, il Lago di Merate, l'animo della donna con cui vivo, ma sono sicuro che esistono. E dunque: perché, pur avendo la testimonianza di molti illustri personaggi che credono fermamente nell'esistenza di Dio, non sei disposto ad ammettere con certezza che Dio c'è?
lunedì 27 dicembre 2010
Dio esiste? (10)
Dio esiste? (9)
M: Sì, mi interessa la spiegazione di quel "quasi".
Naturalmente, trattandosi di un oggetto del quale non sai "quasi nulla" perché non "ha mai fatto parte" della tua esperienza, tanto che ti è "praticamente impossibile dire se esiste o no", mi aspetto che la spiegazione sia stringata. Altrimenti, dovrò pensare che quel "quasi" è solo un artificio retorico.
Dio esiste? (8)
Dio esiste? (7)
Accetto comunque la tua declinazione di Dio: un essere superiore all'uomo, non fisicamente individuabile, creatore dell'uomo stesso e dell'universo, onnipotente e onnisciente. Questo Dio secondo te esiste?
P.S.: come vedi, è possibile stare nelle dieci righe.
domenica 26 dicembre 2010
Dio esiste? (6)
Dio esiste? (5)
2) L'uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza.
3) Vedi risposta 2.
Metodo: si risponde alle domande, si argomenta ed eventualmente si pongono poi nuove domande. Rispondere a domanda con domanda significa sviare la discussione. Egualmente: non andiamo oltre le dieci righe per post. Eccedendo si smarriscono sintesi e filo del discorso.
sabato 25 dicembre 2010
Dio esiste? (4)
venerdì 24 dicembre 2010
Dio esiste? (3)
M: Per "Dio" intendo ciò che intende il senso comune: un essere superiore all'uomo, fisicamente individuabile, creatore dell'uomo stesso e dell'universo, onnipotente e onnisciente. Questo Dio secondo te esiste?
Dio esiste? (1)
Il gioco è fatto così. Dialogheremo sull'argomento attraverso i nostri post, che verranno numerati progressivamente. Il dialogo sarà articolato in capitoli, il primo dei quali è appunto: "Dio esiste?". Ciascuno di noi può prendersi tutto il tempo che vuole per postare. Il post non può essere più lungo di dieci righe. Il capitolo verrà chiuso quando lo riterremo esaurito. Chiunque legga può partecipare al gioco postando i suoi commenti, che verranno da noi ripresi e discussi. Vedremo cosa maturerà nel corso del dialogo.
domenica 19 dicembre 2010
domenica 5 dicembre 2010
Bambini scrittori 2
domenica 28 novembre 2010
Il druidismo ottiene nel Regno Unito il riconoscimento dello Stato
Il provvedimento avrà immediati riflessi economici. La decisione consentirà infatti ai seguaci delle antiche pratiche celtiche, tuttora molto seguite nelle isole britanniche, di ottenere consistenti sgravi fiscali, dato che il lavoro di promozione del druidismo è stato riconosciuto come attività di pubblico interesse nazionale.
Ma è ovvio che le maggiori ripercussioni di questo evento si avranno sul piano culturale. La Charity Commission ha ammesso che il druidismo è la più antica forma di religione di cui si abbia memoria Oltremanica e lo ha definitto "un insieme di pratiche coerenti e strutturate per l'adorazione di un essere supremo", aggiungendo che queste pratiche "sortiscono un impatto morale benefico sulla comunità dei fedeli". Ha sdoganato quindi, a livello ufficiale, l'adorazione degli spiriti di fiumi e montagne, la celebrazione di rituali legati all'alternarsi delle stagioni, e quel rapporto strettissimo tra uomo e natura che caratterizzava molte pratiche religiose precristiane.
Dunque l'Europa riscopre, dopo duemila anni, di essere stata un tempo pagana.
Ammette di non avere mai smesso di esserlo.
Reintroduce, attraverso il circuito alto delle decisioni governative, i riconoscimenti ufficiali e gli incentivi economici che tanto bene fanno alla libertà di scelta religiosa.
In definitiva, una buona notizia per tutti.
domenica 21 novembre 2010
Bambini scrittori 1
domenica 14 novembre 2010
Come fare soldi (e tanti) con Mussolini
Elisabetta Sgarbi è il direttore editoriale della Bompiani. Scrittrice a sua volta, critica d'arte e cinematografica, regista cinematografica, è una delle personalità più influenti della cultura di questo Paese.
Qualche tempo fa, ho seguito una sua lunga intervista sulla questione dei diari di Mussolini, che la Bompiani si apprestava a mandare in libreria. La Sgarbi, pressata da un giornalista per niente accondiscendente come Giuseppe Cruciani di Radio 24, asseriva di non essere affatto certa dell'autenticità dei diari e che comunque non si trattava per lei di un punto dirimente. Davanti allo stupore e all'insistenza dell'intervistatore, si inalberava e rilanciava affermando che - veri o no - la Bompiani avrebbe pubblicato i manoscritti con il titolo I diari di Mussolini. E rifiutava di ammettere che ciò sarebbe equivalso a ingannare o quanto meno spingere il lettore su una strada equivoca.
La Sgarbi è una gran dama e ha mandato alle stampe negli anni libri di valore straordinario, tanto in saggistica quanto in narrativa. Io lo so e anche Cruciani lo sa. Ecco perché il giornalista, chiuso il tempestoso collegamento, ipotizzava quel giorno che la Sgarbi fosse stata costretta a digerire un'operazione di puro mercato, alla quale personalmente doveva essere contraria. Ipotesi benevola ma verosimile.
Ebbene, in questi giorni I diari di Mussolini sono finalmente arrivati in libreria e proprio con tale titolo. Contrariamente a quanto detto dalla Sgarbi in radio, hanno però un sottotitolo. Il sottotitolo, in piccolo e tra parentesi, è (Veri o presunti). Ce n'è abbastanza per rimanere di sale.
Un tempo la Bompiani, e ogni altra seria casa editrice, avrebbe fatto una scelta di campo netta. Avrebbe preso per veri i manoscritti, pubblicandoli come i diari del Duce, senza alcun sottotitolo. O li avrebbe giudicati un falso, rinunciando alla pubblicazione. Ecco che invece oggi si sceglie volutamente di restare a metà del guado. L'imperativo è monetizzare a tutti i costi: e niente promette una monetizzazione più efficace e penetrante del capo del fascismo. Quanto al sottotitolo, lo si utilizza come foglia di fico che lava la coscienza davanti a storici e pubblico più smaliziato. L'operazione di mercato è smaccata, tanto smaccata che lo si dichiara in copertina. Forse la Sgarbi l'ha subita, forse no. Certo, appare troppo comodo scaricare il giudizio finale sul lettore, al quale nel frattempo vengono scuciti 21,50 euro. Inoltre, questo è solo l'inizio. Il volume in libreria è infatti il (vero o presunto) diario mussoliniano del 1939. Ne seguiranno altri quattro. Fate un po' voi i conti.
domenica 7 novembre 2010
Ma cosa augurare agli sposi se non "buon matrimonio"?
sabato 30 ottobre 2010
Viva gli sposi! Abbasso il matrimonio!
Si sono sposati due nostri vicini di casa. Due persone molto simpatiche e buone, un po' avanti con gli anni. Lei ne ha 57, lui 69. Entrambi già sposati in passato, con esiti infausti.
Mentre questa mattina mi passavano accanto, in giardino, ho detto: "Viva gli sposi! Abbasso il matrimonio!". L'ho detto, non gridato. Ma nemmeno a mezza voce, non così piano, perlomeno, da non essere udito dalla coppia. Loro due, infatti, mi hanno sentito e si sono messi a ridere.
Quella frase esprimeva in pieno il mio sentimento del momento.
Empatia per gli sposi, cui sono molto vicino, e avversione per il legame giuridico-istituzionale che si stava per creare.
Ma non ero così sicuro che tale mia percezione fosse condivisa o addirittura comprensibile ad altri e per questo non l'ho proclamata a voce troppo alta.
A dire il vero, io stesso fatico a mettere a fuoco la questione.
Tralascio il precedente fallimento matrimoniale dei nostri amici. Già agli atti, con il suo carico di dolorose esperienze, avrebbe dovuto indurli a maggiore prudenza. Ma non è questo il punto centrale.
Il punto centrale è un altro.
L'uomo per natura non è monogamo.
Non ce ne offrono abbondanti testimonianze solo la cronaca, le indagini sociologiche o le nostre personali conoscenze. Ce ne dà prova anche la scienza. Nel mondo animale lo scambio di coppia è norma generalizzata.
L'uomo invece si sforza di essere monogamo.
Per cause religiose, economiche e giuridiche ha creato il matrimonio, istituzionalizzando il legame tra individui di sesso diverso. Queste cause sono tante e vanno dall'esigenza di trasmettere e conservare il patrimonio nell'ambito della stessa stirpe alla necessità di imporre una morale più rigida, univoca e quindi controllabile al complesso nucleo delle società urbane. Proprio per tali motivi e tali fini si è anche preteso di aggiungere al contratto matrimoniale la clausola della monogamia.
Trasformando insomma tutta la faccenda in una questione culturale.
Ed è proprio ciò che non capisco.
Molte delle cause e degli scopi che sottostanno al matrimonio oggi sono venuti meno. Viviamo in una società che amplia quasi a dismisura i limiti delle libertà individuali, accetta comportamenti e abitudini fino a poco tempo fa inammissibili, tutela i diritti di chi vive o nasce nel matrimonio e fuori dal matrimonio.
E allora chiedo: perché molti uomini e donne si ostinano a creare un legame che li impegna vita natural durante? Quando mai è saggio prendere un impegno che non si è sicuri di poter assolvere? E in più: perché nello sposarsi si obbligano alla fedeltà? Qui si va addirittura contro natura.
Qualsiasi ragionevole risposta a tali dubbi è benvenuta.
domenica 24 ottobre 2010
Perché raccontare storie
domenica 17 ottobre 2010
IRS e Lega Nord: che significa stare tra la gente?
Durante l’incontro bolognese dei simpatizzanti di iRS - indipendentzia Repubrica de Sardigna -, di cui ho già parlato, ho sentito più di una persona affermare che l’unica e vera somiglianza tra iRS e Lega Nord sta nella capacità di farsi presente sul territorio. Unica e vera, contro l’assai più frequente accostamento di iRS a Lega Nord a proposito di separatismo. Vorrei dunque soffermarmi su questo particolare e analizzarlo da vicino.
Negli ultimi quindici anni ho risieduto in tre centri diversi della provincia di Varese: Origgio, che ha circa settemila abitanti, Saronno, che ne conta quasi quarantamila, e Tradate, che ne ha poco meno di diciottomila. Per quel che ho visto, sono tutti paesi e città dalla forte economia e dai servizi efficienti. A Origgio il sindaco è il leghista Luca Panzeri, quarantacinquenne, al secondo mandato e rieletto nel marzo di quest’anno con il 38% di preferenze personali. A Tradate, dove vivo ora, il sindaco leghista Stefano Candiani è anch’egli un quarantacinquenne al secondo mandato: ha avuto alle elezioni del maggio 2007 oltre il 60% di preferenze personali. Una percentuale così elevata da spingermi a chiedere a più persone cosa trovassero in lui di particolarmente valido. Su un altro versante, è egualmente emblematico il caso di Saronno, dove la Lega è stata per ben dieci anni all’opposizione della giunta di centro-destra, senza per questo mostrare meno vigore o radicamento tra i cittadini. Dallo scorso giugno, caso più unico che raro, a Saronno il partito più forte è il PD, causa scissioni interne al PDL, e la Lega è ancora la voce d’opposizione più sonora. In tutti questi posti ho avuto modo di conoscere diversi votanti e amministratori leghisti, facendomi un’idea di cosa significhi per loro stare sul territorio.
Per i cittadini la capacità dei leghisti di stare sul territorio è incarnata prima di tutto dalla loro costante presenza fisica in piazza. Negli anni in cui ho abitato a Saronno, non passava domenica che i militanti della Lega non fossero agli angoli delle strade, per qualche raccolta di firme, per un comizio, per un concerto di musica folk, per la distribuzione del foglio di sezione. Ogni pretesto era buono per stare tra la gente. Che piovesse o facesse un caldo torrido, loro erano lì, con banchetti, gazebo e fazzoletti verdi al collo.
In secondo luogo, per i seguaci di Bossi avere un amministratore leghista significa contare su uno dei loro, anzi, su «uno di noi». A livello locale, non ci sono politici professionisti. Tutti gli eletti emergono dalla base, parlano la lingua della base, conservano le idee della base e mantengono il mestiere che gli dà da mangiare. Panzeri, a Origgio, è un operaio metallurgico, Candiani, a Tradate, è un industrialotto che produce packaging per cosmetici. In altre parole, c’è una identificazione quasi totale tra base e amministratori: la prima delega la propria fiducia ai secondi e sa di andare sul sicuro. Non teme cattive sorprese e non ne riceve. Ancora più precisamente: militanti e amministratori della Lega hanno una elevata e molto prosaica capacità di essere consonanti con i loro elettori. Tanto elevata da lasciare a bocca aperta.
Terzo elemento, e sia detto senza voler contribuire ad alcuna mitologia leghista. I militanti e gli amministratori della Lega nutrono e mostrano per la propria terra una passione profonda, largamente percepita da elettori e simpatizzanti. Tale passione è il loro primo interesse e motore d’azione ed è perciò che, al confronto, gli attivisti degli altri partiti sembrano vecchi mestieranti. Così si arriva al paradosso che la base della Lega Nord, partito di vita ormai pluridecennale, conserva un entusiasmo e una freschezza neppure mai acquisiti da chi sta in PD e PDL, partiti di nascita recentissima e che dovrebbero viaggiare su un abbrivio ben maggiore.
Questa passione genera l’ultimo dei fattori caratterizzanti lo stare sul territorio della Lega Nord. I suoi amministratori hanno un programma chiaro e limitato, che difendono con i denti: realizzare la volontà dei loro elettori, senza guardare in faccia nessuno. A tale fine strategico ho visto negli anni gli amministratori leghisti sacrificare molto: hanno rinunciato ad alleanze che sembravano immarcescibili o, al contrario, hanno accettato di legarsi a personaggi che poco hanno a che spartire con le idee di Bossi. Da questo punto di vista, nonostante il peso notevole della Lega sul piano nazionale, il Carroccio è rimasto una formazione essenzialmente locale: il municipio, la provincia e la regione vengono, ai rispettivi livelli amministrativi, prima di ogni altra cosa. Tale tattica e tale pertinace difesa degli interessi del circondario pagano: la gente di qui vota Lega Nord in massa.
Non conosco ancora abbastanza iRS e la sua azione per valutare sulla base di questi elementi quanta somiglianza ci sia tra lo stare tra la gente di leghisti e indipendentisti sardi. Voglio invece mettere in rilievo cosa trovo di inadeguato in tale paragone.
Non so se la Lega sia nata e cresciuta intercettando un malessere già presente nel popolo del Nord o se sia stata particolarmente abile nel suscitarlo e cavalcarlo. Fatto sta che l’ordine del giorno dei leghisti si è composto nel tempo mettendo in fila tutto ciò che qui nel settentrione non va bene e dandone la responsabilità a Roma. La capacità dei leghisti di percepire la “pancia” degli elettori ha permesso loro di crescere nei consensi, ma solo per portare avanti prima di tutto battaglie di chiusura e opposizione, né di apertura né propositive. Essere presenti sul territorio, a queste condizioni, è forse perfino troppo comodo.
I leghisti sono nazionalisti, al punto da avere inventato una nazione che non c’è e scagliarsi contro le altre nazioni: prima i terroni, poi gli extracomunitari. I leghisti sono spesso violenti nella lingua e nei sentimenti, da Bossi in giù, e alimentano così uno spirito pubblico di scontro. I leghisti rimarcano continuamente i torti subiti da Roma e sono nei confronti della capitale apertamente rivendicazionisti. La difesa degli interessi locali non è mai inclusiva, ma escludente e in definitiva impoverente, così come la passione per la propria terra. La base del partito nutre sentimenti analoghi ed è su tale direttrice che si chiude, nel segreto dell’urna, il circuito elettore-amministratore leghista.
IRS - nei suoi principi - non è niente di tutto questo ed è perciò che, a mio parere, lo stare tra la gente di iRS sarà profondamente diverso e più difficile di quello leghista. IRS non promette l’indipendenza come panacea di tutti i mali della Sardegna, ma si propone di contribuire a risolvere quei mali prima dell’indipendenza. Non vuole l’indipendenza contro qualcuno, ma per i sardi e per chiunque vorrà partecipare al loro progresso. Quanto agli amministratori di iRS, non dovranno aiutare i sardi ad essere solo più ricchi, ad avere un lavoro migliore, ad usufruire di servizi più efficienti. Se è vero ciò che ho sentito a Bologna, iRS desidera rendere i sardi migliori nel cuore e nella mente: compito obbiettivamente straordinario, molto al di là di quella cura degli interessi materiali che costituisce il primo e spesso unico obbiettivo dei nostri politici. Nel contesto attuale, credo che lavorare per i sardi significherà talvolta lavorare contro di essi e loro malgrado. Proprio perciò sarà utile e interessante seguire l’attività degli amministratori di iRS e verificare, giorno per giorno, il loro modo di stare tra gli elettori. Nella speranza di averne parole e fatti davvero nuovi.
(Postato da Maurizio Onnis)
domenica 10 ottobre 2010
Il meraviglioso mondo del piccolo calcio
domenica 3 ottobre 2010
Un impegno politico a Bologna
Ieri ho sacrificato il sabato per una escursione a Bologna, con giustificazione politica. Sono infatti stato all’assemblea generale di iRS-Disterru. Dove iRS sta per indipendentzia Repubrica de Sardigna, vale a dire «indipendenza Repubblica di Sardegna» e Disterru sta per «disterrati», cioè «strappati dalla propria terra». In poche parole, i sardi che vivono fuori dall’isola. IRS, nato come movimento circa dodici anni fa, si è dato struttura di partito solo nel gennaio di questo 2010 e propugna l’indipendenza della Sardegna, Stato libero, europeo e mediterraneo, fuori dalla formazione statuale italiana. Non quindi una regione italiana più autonoma rispetto a Roma, né “quasi” sovrana nell’ambito di un’ipotetica Italia federale, ma proprio un Paese a sé, che abbia con l’Italia i rapporti usuali tra Stato e Stato. IRS ha partecipato alle ultime elezioni amministrative, lo scorso giugno, attestandosi intorno al 3% dei voti e conquistando diversi consiglieri provinciali e numerosi consiglieri comunali.
Ho sentito ieri parole belle, interessanti e in parte anche originali. IRS è infatti un partito rigorosamente non nazionalista e non violento. Non nazionalista perché ritiene i sardi una nazione, ma non certo superiore alle altre, e vuole aprire l’isola a tutti i contributi fattivi, da chiunque giungano, purché volti al bene dei sardi stessi e dell’intera comunità umana. Non violento perché rifiuta l’uso della forza in politica: particolare decisamente nuovo nel contesto europeo, animato da decenni da movimenti indipendentisti che hanno edificato tristi storie di bombe e sanguinosi attentati (vedi l’ETA basca e l’IRA nordirlandese). All’assemblea hanno preso parte, tra gli altri, la segretaria del partito, Ornella Demuru, e l’ideologo fondatore, Franciscu Sedda. La prima ha trentotto anni, il secondo trentaquattro, e non è un dettaglio insignificante. Erano presenti infatti a Bologna una sessantina di persone e la stragrande maggioranza aveva meno o poco più di trent’anni: la giovinezza dei militanti, che di per se stessa è sinonimo di forza, nuove idee ed entusiasmo, è ciò che più mi colpisce di iRS. Perché il futuro appartiene certamente a persone come loro e non a quelle che hanno già avuto la possibilità di lavorare nella storia e sulla storia: queste hanno già dato, e sarà la storia stessa a giudicarne l’operato.
Io non ho mai fatto politica attiva fino al 2008. La nascita del PD, allora, mi sembrò segnare l’inizio di un’epoca nuova per la società italiana e pensai che dall’unione delle tradizioni cattolica e socialista potesse venire un gran bene per il nostro Paese. Da lì presi le mosse per quasi due anni di militanza attiva tra i democratici, conclusisi con l’abbandono e una dichiarazione d’impotenza. Ritenni e ritengo ancora oggi, come molti altri, che il PD abbia tradito rapidamente le premesse ideali da cui nacque, ripiegando invece sulla più collaudata prassi politica nostrana: potere ai notabili, lontananza dalla gente, scarsa tensione etica, cedimento spinto al compromesso e soprattutto mancanza di un programma chiaro.
Ammaestrato da quella esperienza non posso certo aprire d’acchito un credito illimitato per iRS. So bene che la prova della sua bontà deve venire dai fatti e cioè dal lavoro dei suoi amministratori. I quali dovranno dimostrarsi capaci prima di tutto di agire senza farsi corrompere o manovrare o sviare. Poi di operare sul territorio realmente a fianco di chi li ha votati, e non solo per migliorarne la qualità di vita materiale, dato che i sardi dopo tutto non stanno così male. Dovranno lavorare soprattutto per un miglioramento del loro animo e della loro mente, generando e infondendo nei sardi il coraggio necessario a prendere finalmente in mano con decisione il proprio destino: compito straordinariamente impegnativo. Solo quando tutto ciò si sarà inverato potremo affermare che iRS è un partito nuovo.
Detto questo, voglio precisare per quale motivo mi sono avvicinato a iRS. Da un bel po’ di tempo, già prima di accostarmi al PD, ho maturato una forte coscienza della mia doppia natura di sardo e italiano. E ho spiegato in cosa consista in altri interventi su questo blog, etichettati nella categoria “identità”. Vivo tale doppia coscienza in modo ambivalente: talvolta con naturalezza, in altre occasioni percependone la contraddizione. Senza però che l’una identità prevalga sull’altra e senza che io, almeno fino a questo momento, voglia o possa dare la precedenza a una di esse. Ho passato ventitré anni della mia vita in Sardegna e ormai ventiquattro sul continente: sono figlio di entrambe le culture. Giudico comunque del tutto legittima, storicamente e appunto culturalmente, l’aspirazione dei sardi all’indipendenza. Non so se essa verrà. Non so se a farsene strumento sarà iRS. Ma certamente la ritengo ammissibile. Ed è una prospettiva insieme affascinante e inquietante. Non mi è dato di prevedere, oggi, cosa ne penserò in futuro. La riflessione su questo tema, mia e di molti miei conterranei, è aperta.
lunedì 27 settembre 2010
Età e pastiglie
Tornare dalle vacanze significa a volte rivedere persone care dopo un periodo di lontananza. Così può succedere che le troviamo cambiate. E succede soprattutto con i bambini: due-tre settimane di crescita di un bambino di sette o otto anni, per esempio, possono farsi notare ("ma come diventa grande!").
A me invece è accaduto con i miei genitori, due bravi ragazzi di 78 e 70 anni, lui e lei.
"Senectus ipsa est morbus": la vecchiaia, da sola, è già una malattia. Così dicevano gli antichi Romani. Quando poi i disturbi di una qualche malattia vera e propria si acutizzano, l'anziano mostra minore resistenza e si scoraggia, si scopre debole e fragile, vulnerabile e minacciato.
La salute dei miei genitori è un tema che mi fa riflettere spesso. Come tutti i figli di mezza età, impegnato in quella fase della vita in cui devo e voglio dare il massimo (nel lavoro, con i figli, nei miei sogni e ambizioni, nelle mie passioni) ho bisogno che stiano bene.
E così sono molto grato ai progressi della medicina e al buon funzionamento del sistema sanitario. Perché mio padre vive da molti anni prendendo 10-12 pillole al giorno, e oggi ho visto per la prima volta la lista delle pillole quotidiane di mia madre. Sono 16.
Poi ci sono gli esami clinici. Papà li fa e li rifà tutti, in continuazione. Ne ha bisogno per il cuore, il sangue, il fegato, i reni, ma non mancano controlli ai polmoni, allo stomaco, alla vista. Mamma ha problemi al sangue, ma anche una gastrite spesso acuta e fasi di ingrassamento e dimagrimento alterne e da tenere sotto controllo.
Insomma, sono un po' sfortunati. Eppure, come dicevo, grazie alla medicina e all'assistenza pubblica vivono una vita relativamente serena e attiva: sono loro ad accogliere i nipoti al ritorno da scuola e a preparare loro il pranzo ogni giorno, frequentano la parrocchia e partecipano a molte iniziative, escono in auto per fare la spesa al supermercato e così via.
Ogni fase della vita, quindi, riceve oggi le sue cure e le sue attenzioni. Assorbe risorse, sfrutta competenze e strutture, stimola la ricerca di nuove soluzioni. E in questo settembre, rivedendo i miei dopo quasi un mese, ancora più minacciati da vecchi e nuovi malori, torno a sperare, insieme ai miei fratelli, che ci sia ancora una nuova medicina, un altro esame, una buona idea del medico di base e degli specialisti.
E mi domando: ma potremmo mai, di nuovo, essere anziani... e poveri? Potremmo sopravvivere alla fine dello Stato sociale? E se così accadesse, anche solo in parte, sapremmo riprenderci sulle spalle, noi più giovani, l'assistenza dei nostri anziani sia dal punto di vista economico che da quello psicologico?
Domande.
Ci penserò ancora, certamente. Qualcosa mi sfugge, in tutto questo discorso. E poi, anche se non voglio pensarci, so bene che sono io, a mia volta, che non potrò sfuggire alla mia, di vecchiaia.
Con un sincero augurio di buona salute e speranza a tutti.
sabato 4 settembre 2010
Io ti aspetto
Il libro è uscito per Piemme ed è in vetrina dallo scorso sabato.
Speriamo che incontri il favore del pubblico, come accadde l'anno scorso per Il sogno del bambino stregone, e che rappresenti per molti un buon ritorno dalle vacanze.
Perché anche questo auguriamo a tutti: che i prossimi mesi passino in pace, in un lavoro proficuo. Per noi sarà così. E anzi, a dire il vero ci siamo già messi all'opera. Il romanzo del 2011 è in cantiere...
Bentornarti in malatidiparola, il blog di Maurizio Onnis e Luca Crippa.
giovedì 5 agosto 2010
Un saluto dalle vacanze
venerdì 16 luglio 2010
Cos'ha in testa Kathryn Bigelow?
Il film narra la storia di una squadra di artificieri dell’esercito Usa, alle prese ogni giorno con i pericolosissimi ordigni che, nascosti ai lati delle strade e pronti ad esplodere, mettono a rischio la vita di civili e soldati. La macchina da presa segue i protagonisti con lo stile nervoso e adrenalinico che è marchio di fabbrica della Bigelow dai tempi di Point Break, vale a dire da circa vent’anni. E si sofferma soprattutto sul volto, il corpo, le azioni e le emozioni di Will James, sergente e caposquadra, l’uomo che indossa la corazza e concretamente mette le mani nelle bombe, con il compito di disinnescarle. James si muove con baldanza e sicurezza. Sa che basterebbe toccare o troncare il filo sbagliato per saltare in aria. Ma a lui quel lavoro piace e lo fa senza pensarci su due volte, senza mai tirarsi indietro. Tanto che spesso baldanza e sicurezza sembrano arrogante sfida alla morte. Un andarsela a cercare, un rischiare oltre misura e oltre il bisogno per farla finita e dare un taglio a tutto. Con una fine da vero eroe.
La chiusa del film è spiazzante. Dopo averla scampata, al termine di un interminabile anno di servizio, James torna a casa. Dove lo attendono una bella moglie, una meravigliosa figlia e una vita normale. Così normale che il sergente fa dietrofront. Salta su un aereo militare e torna a Baghdad. Le ultime inquadrature lo seguono mentre percorre una strada deserta, protetto dalla sua corazza, andando incontro a una bomba. E al suo destino, qualunque esso sia. Dissolvenza in nero e luci in sala.
Il film è bello. A me è piaciuto molto. In certi passaggi, la Bigelow mi è persino sembrata capace di andare oltre la storia e i personaggi contingenti per afferrare l’essenza di tutto e raccontarci cosa è davvero la guerra. Come sanno fare solo i grandi registi. Come sapeva fare Kubrick: vedi Orizzonti di gloria e Full metal jacket. Tuttavia, ecco la sorpresa. Parte della critica - soprattutto europea - ha condannato la regista, accusando la sua pellicola di cripto fascismo e di incoraggiare gli uomini a combattere e risolvere i loro problemi con la violenza. Fa fede, dicono, quel protagonista che insensatamente rinuncia a una dignitosa vita borghese per tornare ad assaporare il pericolo. Quasi che la guerra fosse una droga, una dolce droga. Insomma, la Bigelow non dà giudizi trancianti, non emette condanne inappellabili, non dice apertamente che la guerra è una merda. Anzi, mantiene una bella dose di ambiguità. E questo a tanti non è piaciuto.
Trovo tale parere irritante. La Bigelow ci dice tutto quello che serve. Che la guerra è malattia, furore, incoscienza, dabbenaggine, stupidità, caso. E non ha bisogno di aggiungere altro per dimostrare che è male. Pretendere da un autore affermazioni più esplicite significa fare dell’ideologia e offendere lo spettatore, giudicato incapace di distinguere da solo, così stupido da doverlo imbottire di verità in pillole. Certo, il protagonista è un guascone indisponente. Ma un guascone disperato, non superomista. E rientra sul campo di battaglia. La guerra l’ha catturato, si è impossessata della sua mente. Ma non vuol dire che la guerra è bella. Forse vuol dire che la vita “normale” è brutta, piatta, monotona, a suo modo più pericolosa per l’animo dell’uomo del teatro dei combattimenti. Questo è il messaggio nascosto della Bigelow. Non è cripto fascismo. È un’amara riflessione sulla nostra incapacità di stare al mondo. E sulla desolazione di questo stesso mondo.
domenica 11 luglio 2010
La vera novità politica
venerdì 25 giugno 2010
Un'importante traduzione all'estero
Quella che vedete qua sopra è la copertina di El violinista de Praga, edizione spagnola di Il violinista di Praga, nostro romanzo del 2007. Le questioni di diritti esteri vanno spesso per le lunghe ma alla fine questa traduzione è arrivata. A pubblicare è Grijalbo, importante etichetta del gruppo Random House, e il volume è brossurato e di bel formato: insomma, fa la sua figura. Poiché Grijalbo è molto ben distribuito, dovremmo registrare buone vendite. Sarebbe un ottimo biglietto da visita per il mercato di lingua spagnola, che attraversa l’Atlantico e arriva alla Terra del Fuoco. Certo Mozart non ha mai pensato che un giorno sarebbe stato accusato di diversi ed efferati omicidi. E tanto meno ha immaginato che questo sarebbe accaduto nelle pagine di un romanzo. Il nostro. Praga e il 1787, le ambientazioni del libro, approdano adesso alla Madrid del giorno d’oggi. È un incontro foriero di buone promesse. Anche perché tra due mesi esatti esce il nostro nuovo romanzo. A firma di Luca Castellitto, si intitolerà Io ti aspetto e racconterà la vicenda di una bambina di Chernobyl che dal disastro della centrale nucleare sovietica ha tratto, faticosamente ma con successo, i motivi per ricominciare a sperare. Come si dice, anche dal male viene il bene. Nel caso di Natasha, la nostra protagonista, è stato davvero così. Il libro sarà diffuso in libreria, centri commerciali e Autogrill.
domenica 20 giugno 2010
Auguri agli sposi
sabato 12 giugno 2010
Law & Order UK: un esperimento malriuscito
Curiosamente, proprio mentre la serie madre chiude i battenti, lasciandosi alle spalle diversi spin-off di grande valore, prende vita la sua costola britannica. È infatti partito Law & Order UK, dove “UK” sta per United Kingdom: appunto, il Regno Unito. Viste alcune puntate, promuovo scelta degli attori, recitazione e intreccio. È già tanto, soprattutto se pensiamo agli esiti penosi che danno in questi ambiti le fiction nostrane. Ma devo aggiungere che l’esperimento mi sembra nel complesso malriuscito. Per tre motivi particolari.
- Primo elemento di debolezza: l’ambientazione. Il nostro immaginario, segnato da innumerevoli film e telefilm, è abituato a pensare a New York come alla culla della modernità e dei suoi vizi. New York è il set perfetto del poliziesco, con i grattacieli e gli slums, i finanzieri in doppiopetto e i latinos carichi di droga, gli incroci di razze, culture e destini, i taxi gialli e le auto targate NYPD che mettono la sirena e sfrecciano nel traffico. Londra non ha niente di tutto questo e se ce l’ha non è presente alla nostra fantasia. Forse, se si doveva fare un Law & Order UK, lo si doveva ambientare nella Londra vittoriana. Quella è la Londra con la quale siamo cresciuti e più di tutte elevata nell’opera narrativa a livello di mito. Questa di oggi non ha l’appeal necessario a un’operazione di genere.
- Secondo elemento di debolezza: il già visto. A ricreare Law & Order in salsa locale ci hanno già provato i francesi. Ora arrivano gli inglesi. Ma è davvero necessario tentare? I britannici sostengono che per loro è più semplice: sul Tamigi il sistema giudiziario è fondato sulla common law, esattamente come sull’Hudson, e anche compiti e prerogative di magistratura inquirente e giudicante si somigliano. Ma il punto è proprio questo. A guardare Law & Order UK si ha l’impressione di vedere all’opera i diligenti discepoli di un maestro ineguagliabile. Senza dire della prevedibilità del tutto, a partire dai dettagli di base. La squadra che si muove davanti alla macchina da presa è composta da un poliziotto anziano, cinico ed efficiente, un poliziotto giovane e belloccio, un ispettore donna, un procuratore aggressivo e sicuro di sé, un viceprocuratore di colore e ancora donna. La somiglianza con McCoy e i suoi colleghi non sembra puramente causale…
- Terzo e più importante elemento di debolezza: la mancanza di ritmo. A rendere secondo me la serie poco riuscita è più di ogni altro questo fattore. Le storie hanno begli intrecci, ma nella narrazione è assente la giusta tensione. Troppe pause, troppi accenni da commedia, troppa incertezza nelle svolte. È come se il regista dicesse al pubblico: «Sto girando Law & Order, ma vorrei tanto essere sul set di Poirot. Anzi, ve la svelo tutta. Il mio vero sogno è La signora in giallo. Aiutatemi a cambiare serie!». Naturalmente, con un andazzo di questo tipo, è impossibile per lo spettatore restare attaccato al televisore. Meglio cercare altrove qualcosa di più avvincente.
Morale: a ognuno le sue storie, a ognuno le sue serie televisive.
Meglio fare male qualcosa di originale che fare benino qualcosa di copiato.
E sono sicuro che Dick Wolf la pensa alla stessa maniera.