Ieri ho sacrificato il sabato per una escursione a Bologna, con giustificazione politica. Sono infatti stato all’assemblea generale di iRS-Disterru. Dove iRS sta per indipendentzia Repubrica de Sardigna, vale a dire «indipendenza Repubblica di Sardegna» e Disterru sta per «disterrati», cioè «strappati dalla propria terra». In poche parole, i sardi che vivono fuori dall’isola. IRS, nato come movimento circa dodici anni fa, si è dato struttura di partito solo nel gennaio di questo 2010 e propugna l’indipendenza della Sardegna, Stato libero, europeo e mediterraneo, fuori dalla formazione statuale italiana. Non quindi una regione italiana più autonoma rispetto a Roma, né “quasi” sovrana nell’ambito di un’ipotetica Italia federale, ma proprio un Paese a sé, che abbia con l’Italia i rapporti usuali tra Stato e Stato. IRS ha partecipato alle ultime elezioni amministrative, lo scorso giugno, attestandosi intorno al 3% dei voti e conquistando diversi consiglieri provinciali e numerosi consiglieri comunali.
Ho sentito ieri parole belle, interessanti e in parte anche originali. IRS è infatti un partito rigorosamente non nazionalista e non violento. Non nazionalista perché ritiene i sardi una nazione, ma non certo superiore alle altre, e vuole aprire l’isola a tutti i contributi fattivi, da chiunque giungano, purché volti al bene dei sardi stessi e dell’intera comunità umana. Non violento perché rifiuta l’uso della forza in politica: particolare decisamente nuovo nel contesto europeo, animato da decenni da movimenti indipendentisti che hanno edificato tristi storie di bombe e sanguinosi attentati (vedi l’ETA basca e l’IRA nordirlandese). All’assemblea hanno preso parte, tra gli altri, la segretaria del partito, Ornella Demuru, e l’ideologo fondatore, Franciscu Sedda. La prima ha trentotto anni, il secondo trentaquattro, e non è un dettaglio insignificante. Erano presenti infatti a Bologna una sessantina di persone e la stragrande maggioranza aveva meno o poco più di trent’anni: la giovinezza dei militanti, che di per se stessa è sinonimo di forza, nuove idee ed entusiasmo, è ciò che più mi colpisce di iRS. Perché il futuro appartiene certamente a persone come loro e non a quelle che hanno già avuto la possibilità di lavorare nella storia e sulla storia: queste hanno già dato, e sarà la storia stessa a giudicarne l’operato.
Io non ho mai fatto politica attiva fino al 2008. La nascita del PD, allora, mi sembrò segnare l’inizio di un’epoca nuova per la società italiana e pensai che dall’unione delle tradizioni cattolica e socialista potesse venire un gran bene per il nostro Paese. Da lì presi le mosse per quasi due anni di militanza attiva tra i democratici, conclusisi con l’abbandono e una dichiarazione d’impotenza. Ritenni e ritengo ancora oggi, come molti altri, che il PD abbia tradito rapidamente le premesse ideali da cui nacque, ripiegando invece sulla più collaudata prassi politica nostrana: potere ai notabili, lontananza dalla gente, scarsa tensione etica, cedimento spinto al compromesso e soprattutto mancanza di un programma chiaro.
Ammaestrato da quella esperienza non posso certo aprire d’acchito un credito illimitato per iRS. So bene che la prova della sua bontà deve venire dai fatti e cioè dal lavoro dei suoi amministratori. I quali dovranno dimostrarsi capaci prima di tutto di agire senza farsi corrompere o manovrare o sviare. Poi di operare sul territorio realmente a fianco di chi li ha votati, e non solo per migliorarne la qualità di vita materiale, dato che i sardi dopo tutto non stanno così male. Dovranno lavorare soprattutto per un miglioramento del loro animo e della loro mente, generando e infondendo nei sardi il coraggio necessario a prendere finalmente in mano con decisione il proprio destino: compito straordinariamente impegnativo. Solo quando tutto ciò si sarà inverato potremo affermare che iRS è un partito nuovo.
Detto questo, voglio precisare per quale motivo mi sono avvicinato a iRS. Da un bel po’ di tempo, già prima di accostarmi al PD, ho maturato una forte coscienza della mia doppia natura di sardo e italiano. E ho spiegato in cosa consista in altri interventi su questo blog, etichettati nella categoria “identità”. Vivo tale doppia coscienza in modo ambivalente: talvolta con naturalezza, in altre occasioni percependone la contraddizione. Senza però che l’una identità prevalga sull’altra e senza che io, almeno fino a questo momento, voglia o possa dare la precedenza a una di esse. Ho passato ventitré anni della mia vita in Sardegna e ormai ventiquattro sul continente: sono figlio di entrambe le culture. Giudico comunque del tutto legittima, storicamente e appunto culturalmente, l’aspirazione dei sardi all’indipendenza. Non so se essa verrà. Non so se a farsene strumento sarà iRS. Ma certamente la ritengo ammissibile. Ed è una prospettiva insieme affascinante e inquietante. Non mi è dato di prevedere, oggi, cosa ne penserò in futuro. La riflessione su questo tema, mia e di molti miei conterranei, è aperta.
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