E l'argomento della riflessione secondo me è questo: la politica non è solo vincere le elezioni. La politica è anche avere un'idea dei problemi del Paese, poi avere un progetto su come affrontarli.
Ma anche queste cose non bastano. Cosa ci vuole ancora? Bisogna anche... amare la politica, cioè bisogna amare l'antica e difficile arte di cercare di coinvolgere il maggior numero di soggetti che contano nel tuo progetto, tenendo conto degli interessi, dei timori, della mancanza di cultura del cambiamento delle persone che cui ti rivolgi.
Avere la capacità di convincere la gente a votarti è molto utile, anzi: indispensabile. Ma governare è ciò che comincia il giorno dopo che hai vinto le elezioni.
Per governare bisogna volere il bene degli altri: solo questo può darti la forza di dedicarti a un compito in cui a lunghi ed estenuanti sforzi corrispondono spesso piccoli, anche se preziosi risultati. Chi si fa eleggere strombazzando che farà miracoli non vuole bene alla gente. Magari crede di amarla, ma comincia proprio là dove ogni amore si nega: non vuole fare davvero i conti con colui che ama, con i suoi limiti. Il politico vero sa combattere, all'occorrenza, anche grandi battaglie ideali, oppure sa guidare il suo popolo durante una guerra. Ma quando non ci troviamo in situazioni così estreme (e per fortuna, no?) non è il caso di inventarsele: meglio ammettere che ci troviamo nel tempo della mediazione, del dialogo, della ricerca del bene possibile.
La vera novità politica sarebbe uno, o più politici, che mostrino di volere bene alla loro gente e trovino così il modo di parlare la lingua della gente. Per provare a fare il meglio possibile giorno per giorno. Non i miracoli, che poi sono solo annunci assordanti (e una onnipresente campagna elettorale).
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