Ovviamente, poi, appena uno è un poco più colpevole di noi lo attacchiamo come belve inferocite: è proprio così che fanno i colpevoli.
Sì, siamo colpevoli un po' di tutto. La colpa è la dimensione unificante del nostro passato e del nostro presente. Siamo colpevoli del colonialismo, delle guerre mondiali con i loro orrori, dello sterminio degli ebrei e di altri genocidi, della guerra fredda, dell'industrializzazione forzata o subita passivamente, della ricerca del profitto in ogni rapporto sociale, dello sfruttamento del sud del mondo, del fallimento delle ideologie - tutte colpevoli anch'esse -, della nostra cattiva alimentazione, della mancata prevenzione delle malattie - e quindi siamo sotto sotto colpevoli anche quando siamo malati -, della rovina della natura e della biosfera...
Sì, viviamo nel senso di colpa e gli animali con la loro ovvia naturalità ci fanno continuamente vergognare di noi stessi (per questo tendiamo a risarcirli con intense cure, invece che convivere con loro per quello che semplicemente sono).
Da tutta questa somma infinita di colpe deriva il nostro ostinato e confuso balbettìo. Per esempio è difficile dire nel modo giusto di credere in qualcosa - prima di tutto nell'uomo, figuriamoci in dio -, perché tutte le fedi, manco a dirlo, sono colpevoli: di fronte alla storia, di fronte alla scienza, di fronte ai poveri o alle donne e così via. E chi pensa di credere lo dice urlando, per timore di qualsiasi smentita. Ma la smentita che teme, che prontamente arriva poco dopo che ha aperto bocca, ce l'ha già dentro da sempre, lo accompagna in ogni istante della sua speranza.
Altro esempio: l'arte non se la sente di rappresentare la figura umana, e se lo fa ci mostra una figura tormentata, frammentata, dissolta e lacerata. C'è stato un tempo in cui gli artisti consideravano normale ritrarre una bella donna per raccontare il divino. Oggi non possiamo proprio nemmeno provarci. Siamo colpevoli, infatti, nei confronti del corpo e di ogni bellezza.
La politica, infine, chiede continuamente scusa di esistere: il risultato in questo campo è una campagna elettorale continua, perché nessuno si sente mai davvero autorizzato - e responsabilizzato - a governare. E anche qui: chi lo pensa, lo grida per sovrastare le voci o le insinuazioni o le manovre o gli strilli di chi mette sempre in dubbio il suo diritto-dovere. E così sia chi è al potere che chi è all'opposizione vive nel terrore.
E se invece di cercare di essere nello stesso tempo colpevoli, duri e scaltri (prudenti, accorti, cauti, furbi, attenti a ogni parola o attenti a gridare abbastanza e attenti ad ogni apparire) fossimo tutti un po' più ingenui?
Ingenui vuol dire "nuovi", "appena nati". Una persona ingenua si muove con una sorta di ignoranza e spesso appare ridicola e inadeguata e mette in imbarazzo. Un ingenuo è per forza di cose un portatore di novità: le "cose come stanno" gliele spiegano gli altri, cioè quelli che gli aprono gli occhi sulle colpe del mondo, dalle quali deve sapersi guardare e delle quali (non faccia finta!) deve rispondere anche lui.
L'ingenuo, a volte, suscita il sospetto che stia facendo apposta. L'ingenuità, del resto, non si dimostra: o c'è o non c'è. Bisognerebbe, però, lasciarsene sorprendere e toccare. Perché l'ingenuità fa bene.
Il famoso "discorso della luna" di giovanni XXIII (per tutti il "papa buono"...) è fatto di parole ingenue. Ghandi apparve spesso ai suoi ascoltatori un uomo ingenuo. Così inventò una nazione, ma soprattutto cercò di inventare la sua anima (era ingenuo anche quando diceva apertamente che il sistema delle caste è il frutto avvelenato dell'amata fede induista). Obama, in alcuni suoi discorsi prova ad essere ingenuo (come al cairo, quando ha detto semplicemente che anche nel mondo islamico dovrebbero esserci libertà religiosa e parità per le donne).
La vecchietta che recita il rosario per tutti i suoi occupatissimi nipoti è ingenua. Benedetto XVI in visita ai terremotati dell'abruzzo che legge loro un freddo discorso scritto non lo è e rischia di dimenticarsi che per fare bene il papa bisogna fare il padre.
Dostoevskij era ingenuo: si sente, leggendolo, che sa stupirsi ancora delle cose che già ai suoi tempi sembravano orrori necessari e inevitabili. Hemingway, a suo modo, era ingenuo, con tutto quel suo egoismo di cui parla apertamente. Kafka, nel suo spavento di fronte al mistero del mondo, nascosto nelle cose più minute e concrete, lo è sempre. C'è ingenuità in molti romanzi scritti ancora oggi da autori dei paesi in via di sviluppo (india, africa, sudamerica...), perché sembrano autori del nostro neorealismo cinematografico e parlano ancora semplicemente di povera gente.
E anch'io, che tento di coinvolgervi in questa tremolante riflessione, sono ingenuo. Ma non abbastanza.
Ma incontrare un ingenuo, uno vero, è sorprendente come incontrare un angelo. Non vi è mai capitato? proviamo a raccontarcelo.
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