Ricerca della verità e libertà hanno molto a che fare l’una con l’altra, in ogni campo della convivenza umana.
È vero per l’arte, la cultura e la scienza: non si raggiungono alte vette espressive, non si esplorano a fondo i meandri dell’animo, non si sondano le leggi costitutive dell’universo se non si è liberi di sperimentare e cercare.
È vero nel campo dei rapporti sociali. Senza libertà, giocata nell’eguaglianza e nel rispetto dei diritti di ognuno, nessun uomo può mostrare agli altri il suo reale volto. E probabilmente vivremmo ancora in un mondo di appartenenze e ceti prescritti alla nascita: un mondo di maschere, dove non ci sarebbe nemmeno concesso decidere quale maschera indossare.
Ambiente di lavoro, famiglia, scuola: oggi possiamo scegliere cosa vogliamo essere e lottare per diventarlo. A guidarci è la ricerca di un’espressione personale più vera e completa. Ricerca che nemmeno inizierebbe se non avessimo ormai radicato dentro il sentimento della nostra libertà. Una libertà costitutiva, definitiva e incoercibile. Una libertà da uomini.
Di tante osservazioni connesse alla tempesta che in queste settimane coinvolge la Chiesa, voglio proporne una attinente alle affermazioni appena fatte.
Non ho motivo di credere che a Roma la ricerca della verità sia possibile, completa e autentica se non accompagnata dalla libertà delle persone che la praticano e del sistema in cui quelle persone agiscono.
Tanto meno credo che, in assenza di tale libertà, la ricerca della verità possa diventare patrimonio dell’intera comunità dei fedeli e dunque “metodo” condiviso per una Chiesa più ricca e feconda.
Questa libertà attualmente non c’è. Non c’è perché il funzionamento della Chiesa si basa su una tradizione bimillenaria che va in direzione opposta. Essa è fondata sull’obbedienza, sul culto della riservatezza e del segreto curiale, sull’ossequio gerarchico, sulla lotta contro ogni voce dissidente, sull’autorità del dogma.
Questi fattori hanno contribuito in misura determinante all’eccezionale longevità della Chiesa stessa ma hanno poco a che vedere con la ricerca di una verità autonoma sulle cose dell’uomo. Sono anzi suoi nemici dichiarati, da sempre: e oggi la verità ufficiale che scende dall’alto non è più sufficiente a tenere coesa l’assemblea dei credenti.
Uomini e donne pretendono da chi li governa un rendiconto delle loro azioni. Questa pratica si chiama democrazia ed è, in politica, ciò che più si avvicina alla realizzazione del principio sopra esposto.
La libertà di scegliersi i governanti è strettamente connessa al compito di questi ultimi: cercare la verità di rapporti sociali più autentici e soddisfacenti per tutti. Dove manca tale libertà, il potere spesso si arrocca in un angolo, con conseguenze deleterie e non di rado tragiche. E pur con tutte le sue brutture, la democrazia è al momento il meglio che abbiamo a disposizione per praticare una libertà degna di questo nome.
Nella Chiesa non c’è democrazia. Alla Chiesa la democrazia serve. Non solo perché viviamo in un’epoca che ha fatto a pezzi il principio gerarchico e dell’insofferenza contro l’autorità un tratto costitutivo. Le serve, molto di più, per dare purezza e autorevolezza al messaggio di Cristo. In pericolo non è, non è stata e non sarà l’esistenza della Chiesa, che è solo messaggera. In pericolo è il messaggio. Le gerarchie ecclesiastiche devono abbracciare la libertà, perché solo una maggiore libertà nella pratica pubblica dei loro compiti permetterà alla Chiesa di incarnare credibilmente il ruolo affidatole da Cristo.
Concludo con una richiesta ai fedeli cattolici. Si facciano sentire. In queste settimane abbiamo ascoltato e visto vescovi e conferenze episcopali fare coming out sulla questione pedofilia. Hanno parlato perché sapevano che la società non avrebbe tollerato ulteriormente il silenzio. E con questa concessione all’opinione pubblica hanno ancora una volta salvato il sistema verticistico di cui fanno parte.
Ma i veri autori della Chiesa sono i fedeli e i fedeli mantengono un clamoroso silenzio. Per conoscenza diretta di sacerdoti e credenti so quanto sia scomodo per molti l’attuale momento e indigesto il comportamento delle gerarchie. Perché questi credenti non parlano? Perché nessun fedele scrive sui muri che sviare, sminuire e mistificare sono contro Cristo? Perché nessuno si alza in chiesa, la domenica, e grida che anche a Roma è possibile una rivoluzione?
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