Da sei anni a questa parte sono vicino alla scuola come genitore: mio figlio è in prima media e mia figlia in seconda elementare. Ho scoperto, per esempio, che fare i compiti con loro è certamente un impegno gravoso, ma anche un'ottima occasione per passare del tempo insieme affrontando delle difficoltà. E dico grazie alla scuola anche per questo, soprattutto dopo che ho visto crescere progressivamente mio figlio grande in autonomia proprio perché io e mia moglie non abbiamo avuto troppa fretta che se la cavasse da solo (un tema al quale vale la pena di dedicare prima o poi un intervento) .
Quest'anno c'è stata per me un'occasione in più per avvicinarmi a questa parte della vita dei miei figli: all'associazione genitori è venuta l'idea di invitarmi a tenere degli incontri con i bambini sul tema della lettura, dell'inventare storie e del costruire il libro, questo magico oggetto.
Così mi sono offerto volontario (la scuola, si sa, soldi non ne ha proprio) e sto tenendo una serie di sei mattinate in altrettante seconde elementari. Il tema dell'incontro è: "In questa classe non c'è un elefante".
Entro in classe con una grossa valigia e comincio a tirar fuori oggetti comuni e oggetti curiosi: un tamburo indiano, una sveglia a forma di pallone, una conchiglia, un modellino della torre di Pisa, un paio di occhiali da sole, una bottiglia vuota, una calcolatrice, una pipa e così via. Di ciascun oggetto mi faccio dire il nome. E' il gioco del "cos'è?".
Poi, disposti gli oggetti sulla cattedra, comincio a fare domande su come sono fatti (colore, materiali, forme...). E' il gioco del "com'è?". Qui succede che scoprano che ci sono oggetti che non sono di plastica (non sono molti, ma qualcuno c'é: il modellino della torre di Pisa è in pietra, ma solo soppesandolo se ne accorgono...).
Poi giochiamo a "c'è, non c'è". Mi guardo intorno, nella classe, e comincio a dire, per esempio: "In questa classe c'è una maestra", e loro devono dire "sì", oppure "no". A un certo punto dico: "In questa classe c'è il numero 118". Normalmente alla parete sono appese tabelle che raggiungono il numero 100. I bambini, di conseguenza, dicono che il 118 non c'è. Allora io li invito a pensarci bene e a qualcuno di loro viene in mente che il 118 potrebbe essere in un libro. Allora guardano e scoprono che l'uno o l'altro dei loro libri di testo ha la pagina 118 (a questo punto spesso cercano anche in un libro della piccola biblioteca di classe).
Bene. E' il momento dell'elefante.
Quando dico "In questa classe non c'è un elefante", quasi sempre si trova un elefante disegnato o fotografato in un alfabetiere, in un calendario, in una ricerca sugli animali... o ancora una volta dentro a un libro.
Allora me li indicano. Io raccomando che li scovino tutti e, dopo un buon quarto d'ora di ricerche, mi consegnano tutti gli elefanti presenti in classe (una volta una bambina si è accorta di averne uno attaccato alla cartella, un pupazzetto, ovviamente).
Raccolti gli elefanti, li metto tutti fuori, in corridoio, perché, dico, ho sempre paura che se ci sono elefanti in classe noi non ci possiamo stare. E per essere sicuro che non ce ne siano proprio più, mi frugo nelle tasche... e tiro fuori un elefante di plastica che fino a quel momento era rimasto nascosto ("ma dove si vanno a cacciare, questi elefanti!").
Ma quando finalmente abbiamo tolto tutti gli elefanti dalla classe, ecco che io torno a dire, con grande sicurezza: "In questa classe... ci sono elefanti".
Loro dicono (tutti) di no. Sono proprio sicuri.
Allora io consegno a ciascuno un bel foglio bianco. Quando ce l'hanno tutti, dico: ora prendete la matita e disegnate un elefante.
Lo fanno tutti. Bello o brutto, piccolo o grande. Ma tutti disegnano indubbiamente un elefante.
Perché c'è sempre un elefante. Appena lo nomino, o scrivo il suo nome alla lavagna, l'elefante è lì.
Infatti in classe non c'è un solo elefante, ma ce n'è uno per ogni bambino, più la maestra, più io.
Finito il disegno, ritiro tutti i fogli e ho così una bella raccolta di elefanti (alcuni giocano con l'acqua, alcuni sono colorati, alcuni sono accompagnati da un piccolo elefante e così via).
Con una sola frase, spiego che l'elefante è nella nostra mente. Lì c'è anche almeno una tigre, un cavallo, una balena, una scimmia, un coccodrillo, un gatto, un cane...
Ma che succede se a questo punto, con la stessa naturalezza con la quale ho prima chiesto di disegnare un elefante, distribuisco ancora un foglio bianco a testa e chiedo di disegnare un QUEZUL?
Scrivo la parola QUEZUL alla lavagna, vicino alla parola elefante e...
Cosa succede?
Lo saprete alla prossima puntata
Nessun commento:
Posta un commento