Ho visto The Reader, film dell’anno scorso valso a Kate Winslet un meritato Oscar come migliore attrice protagonista. Si tratta di un melodramma robusto e fortunatamente asciutto. Dico fortunatamente pensando ai lacrimosi precedenti del regista Stephen Daldry (Billy Elliot) e del produttore Anthony Minghella (Il paziente inglese).
La storia è presto riassunta. Nella Germania di metà anni Cinquanta, un quindicenne viene iniziato al sesso e all’amore da una donna di venti anni più anziana, durante una relazione lunga un’estate. Una decade più tardi, il ragazzo è studente di giurisprudenza e si prepara a diventare avvocato. Per caso, scopre che la donna da lui amata è ora sotto processo per crimini contro l’umanità. Sorvegliante ad Auschwitz, è responsabile della morte di trecento persone. Il giovane si sente attratto da lei, ma allo stesso tempo prova repulsione. Non va a trovarla in carcere dopo la condanna, ma non rinuncia a scriverle e a inviarle la registrazione della sua voce. La donna è analfabeta e lui le legge romanzi. Rinnovando così il rapporto di gioventù: allora, dopo l’amore veniva sempre la lettura. La donna, con tenacia feroce, approfitta delle registrazioni per imparare a leggere e scrivere. Solo all’approssimarsi della morte di lei, i due si incontreranno di nuovo.
L’intreccio si fonda su due temi fortissimi. Il primo riguarda il potere della parola scritta, strumento nel bene di salvezza e nel male di assoggettamento dell’individuo. Il secondo tocca il senso di colpa per ciò che di cattivo si è fatto. Ed è su questo che voglio concentrarmi.
La donna sa che è responsabile davanti alla legge dell’uccisione di molti innocenti ma non prova per il suo passato alcun senso di colpa. Il giovane, poi uomo, non è responsabile dell’uccisione di nessuno ma prova per quelle morti un fortissimo senso di colpa. Lui prova il senso della colpa in vece della donna. Lo percepisce tanto da finire per sentirsi responsabile delle sofferenze che lei ha inflitto agli ebrei prigionieri. Non si sente responsabile giuridicamente, ma storicamente. Lui “è” il popolo tedesco, responsabile collettivo delle colpe individuali di alcuni dei suoi componenti. Responsabile di una responsabilità che attraversa le generazioni e alla quale non si può sfuggire.
Per come mi hanno insegnato la Shoah, per come l’ho studiata io, per la passione che ho sempre provato per la storia europea, per il mio stesso essere uomo, da che ricordi mi sono sentito responsabile di quella tragedia. In questo non ho mai pensato di essere più libero di un tedesco solo perché italiano. E sapere di essere figlio o nipote di chi ha agito male non mi ha esonerato dal sentirmi investito dalla responsabilità storica di quelle azioni. In profondità, mi sono sempre chiesto se mai mi sarei “pulito” da quella macchia.
Ora, il punto è questo.
Quella percezione è in me ancora molto forte, ma non come in passato.
La macchia si è sbiadita col tempo, e senza che io sappia bene come e perché è avvenuto.
Ma diluendosi il senso di colpa, si annacquano anche il peso della responsabilità e l’orrore.
In altre parole, gli anticorpi che mi proteggono dal ricadere nel male.
Il mio macellaio è una persona gentile. Con la sua famiglia gestisce un piccolo market e vende carne, affettati e formaggi di qualità eccellente. Qualche tempo fa l’ho colto mentre “pedinava” dentro il negozio un cliente nordafricano. Gli ho chiesto perché lo faceva e mi ha risposto senza problemi che non si fidava. Ai cinesi lancia occhiate malevoli. I cinesi, qui a Tradate, formano una comunità numerosa e ormai radicata. Hanno diversi negozi e soprattutto l’emporio più grande delle Fornaci, nuovissimo centro commerciale. Al market scelgono velocemente, non schiamazzano, comprano e pagano sempre in contanti. Li ho visti con i miei occhi. Non c’è motivo per guardarli male. Non ne ho parlato con il macellaio, ma ammetto di essermi fatto in proposito un’opinione. Così come su tutti i rigurgiti di razzismo, leghista o meno, di cui si parla da qualche tempo a questa parte. E che non è prudente liquidare citando la rozzezza o l’ignoranza dei protagonisti.
Io penso che il senso di colpa si sia smarrito.
Scarsa o nulla conoscenza del passato. Egoismo. Rifiuto dei ricordi cattivi. Indisponibilità a dividere il peso degli errori dei nostri padri.
Tutti questi fattori agiscono nello spingerci a dimenticare quel che è stato.
E dimenticando ricadremo nel male di sempre.
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