Sulla facciata della scuola media frequentata da mio figlio, anni fa un poeta in erba ha scritto due bellissimi versi. Dicevano così: "Nadia non sei un sogno/ma una realtà che fa sognare".
Oggi quella scritta sul muro è stata cancellata, ma ho sempre sperato che la fortunata Nadia, moderna Beatrice, abbia conosciuto il piccolo poeta innamorato.
Ci sono aspetti della vita che meritano poesia, come l'amore, a cominciare dai suoi inizi in una cotta tra adolescenti. Poi ci sono le realtà meno sentimentali: il lavoro, la gestione dei risparmi, le spese condominiali, il mutuo, l'assicurazione dell'auto e il prezzo della benzina fanno parte di questa seconda categoria. Sono cose che centrano poco con la leggerezza e la gratuità dei desideri, delle emozioni, dei sogni, appunto. Sono cose fatte come devono essere, e basta. Non resta che affrontarle adeguandosi alla realtà.
Ora mi chiedo: tra i due estremi del mondo delle emozioni, da una parte, e di quello delle concretezze più dure, dall'altra, dove si colloca il mondo della politica?
Sembra una domanda un po' retorica. Potremmo rispondere subito, senza pensarci: la politica è la gestione del bene comune, fatto di cose concrete sulle quali decidere con conoscenza dei problemi, attenzione ai dati concreti, realismo ed efficacia.
E allora mi domando: cos'è questo gran parlare, oggi, tra i politici, di amore, di affetti e di valori?
In una delle campagne elettorali vinte negli ultimi dieci anni, il centrosinistra, guidato da Prodi, parlava di una politica "per la felicità". Dopo di lui è nato il Partito Democratico e Walter Veltroni ha tentato di guidarlo in nome dei "sogni" e della "bella politica".
Oggi Bersani insiste, più realisticamente, sul problema del lavoro e sui soldi che si potrebbero spendere per aiutare le famiglie e le piccole e medie imprese in difficoltà.
Questa parabola indica una decadenza della politica o un suo progresso?
Sabato 20 marzo si è tenuta a Roma una grande manifestazione del Popolo della Libertà di Berlusconi e dei suoi alleati. A grandi lettere, sul palco, era scritto: "L'amore vince sempre sull'odio e sull'invidia". Ecco, da questa parte siamo già da tempo al "partito dell'amore".
Ma perché sprecare così le parole?
Ho una teoria. Penso che se liberassimo definitivamente la politica dai grandi sentimenti contrapposti smetteremmo di viverla per quello che è diventata: la gara a chi accende di più i suoi tifosi e ammiratori e li spinge di più a disprezzare l'altro dal profondo del cuore.
Se passassimo, invece, a un metodo davvero democratico di confrontarci sulle cose concrete, faremmo tutti qualche progresso, a cominciare dal fatto che l'interesse per la politica crescerebbe molto rapidamente.
Il principio fondamentale di questo metodo è: ascolta l'altro tentando di capire cosa vuole davvero, prima di rispondere con una tua valutazione della sua proposta e, eventualmente, con una controproposta; facendo così, potresti scoprire che siete d'accordo, oppure che non lo siete, ma che entrambi vedete un aspetto del problema davvero importante e che bisogna cercare una mediazione insieme.
Invece i politici si ascoltano solo fino a metà della frase pronunciata dall'avversario e nel frattempo non stanno pensando a quello che l'altro dice, ma a cosa controbattere (possibilmente sovrapponendosi alla sua voce) in modo da sembrare subito migliori di lui.
E così arriviamo al problema: la politica non fa sognare quasi nessuno perché la democrazia si è trasformata semplicemente in una campagna elettorale permanente, basata non sui fatti, sui problemi, sulle proposte e sulle cose da fare, ma sull'attacco all'avversario.
Una situazione nella quale c'è poca poesia, ovviamente.
I poeti, si sa, sono tipi solitari, riflessivi, pacati. Amano il silenzio, la bellezza scoperta parola per parola, un'idea dopo l'altra, una scoperta quotidiana per cui dirsi grati al mondo intero.
Per questo nella storia si è pensato di far fare politica ai filosofi, ma mai ai poeti.
Ma la questione non è mettere poesia e parole sdolcinate in politica per mascherare i giochi di interesse e le contrapposizioni sterili. La questione è che la politica, come ogni cosa importante (il lavoro, i beni, la famiglia, i figli...) deve trovare in se stessa la sua poesia, cioè la bellezza della sua disciplina, del suo metodo corretto ed efficace.
C'è qualcuno che sembra davvero preoccuparsene? Sembra di no. Ed ecco perché ci viene una gran voglia di lasciar soli i politici per inviare loro un messaggio di protesta. Peccato che, da soli, abbiano comunque il potere di costringerci con la forza della legge e dell'autorità.
Per cui dico: va bene, magari questa volta non votiamo o votiamo scheda bianca. Ma poi, per piacere, tra quanti siamo che abbiamo così protestato, troviamoci, vi prego, a leggere insieme qualche bella poesia.
Insegnano ad ascoltare un uomo che parla: male non ci farà.
Venerdì 19 marzo ho letto e spiegato sei poesie (di Montale, Caproni, Luzi e Rebora) a un pubblico di circa trecento persone a Aicurzio, in Brianza. Un'ora e mezza di buon ascolto.
Non abbiamo passato una brutta serata.
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