Il senso di colpa, anche quando è utile da mostrare al pubblico per placarne il furente moralismo, è comunque una tortura difficile da sopportare. Pur di non tenerselo dentro a scavare le sue gallerie nel sottosuolo dell'orgoglio, è meglio chiedere perdono in pubblico, fare al più presto qualche rinuncia, impegnarsi in pratiche salutari.
Vorrei tuttavia sottolineare che la tradizione cristiana ricorda a questo proposito che spesso la corsa ai ripari basata sulla forza della volontà non serve ad affrontare davvero la colpa e le sue cause, ma semplicemente a riparare l'amor proprio ferito, bisognoso di accumulare al più presto meriti riparatori. Il Buddismo per questo va benissimo, ma poi anche questa antichissima filosofia orientale (più antica del cristianesimo) ricorda al fedele che ciò che conta è proprio la rinuncia all'orgoglio e allo stesso desiderio di essere e apparire.
E dunque auguri a Tiger Woods, auguri di andare fino in fondo sulla via tracciata dal suo Maestro.
Intanto, sempre nello spirito di un dialogo tra religioni a proposito di ciò che ci sta davvero a cuore, ricordo un dialogo che ebbi molti anni fa con un sacerdote, un bravo e stimato confessore. Mi disse, e non lo posso dimenticare: "Quando un penitente viene ad accusarsi di un peccato e chiede il perdono di Dio, io lo perdono. Quando torna ancora, per lo stesso motivo e per lo stesso peccato, io lo perdono. Ma quando torna la terza volta con la stessa colpa, gli dico di ricordarsi che dopo un po' di ripetizioni non si parla più di un peccato, ma di un problema".
E il problema, per il Buddismo e per il cristianesimo, non è la colpa, ma la qualità della vita.
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